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Altro che ammorbidire il carcere duro come segnale di distensione con la mafia da parte dello Stato, ieri Vincenzo Scarantino, il falso pentito della strage di via D’Amelio, durante la deposizione al processo per il depistaggio, è stato un fiume in piena descrivendo le torture che ha subito nel carcere di Pianosa fino a quando, esausto, ha deciso di collaborare dichiarando il falso.
«Nel 1994 ho chiesto di collaborare con i magistrati perché non ne potevo più, mi hanno umiliato per mesi, mi facevano spogliare nudo e mi davano dei colpi nelle parti intime. Poi mi dicevano di guardare a terra e mi davano schiaffi in bocca. Mi davano calci con gli anfibi, perché erano in mimetica. Sembrava di stare nel carcere di Fuga di mezzanotte. Mi hanno fatto tante zozzerie di ogni tipo. E io ero stanco».
Vincenzo Scarantino ha aggiunto altri particolari: «Mi hanno fatto mangiare i vermi per la pesca, che ci hanno pisciato dentro la minestra, scusate la volgarità. Ci mettevano anche le mosche nella pasta. In pochi mesi sono passato da 103 kg di peso a 53 kg appena, dicevano tutti che avevo l’Aids», ha aggiunto. «Io non capivo ma, oggi posso dire che lo facevano per fare terrorismo psicologico – ha raccontato ancora -, sono stato sei mesi con la stessa tuta, non me la facevano cambiare. Tante umiliazioni, tantissime. Ho subito tante cose schifose che mi hanno fatto. Dovevo stare tutto il giorno in piedi perché appena mi mettevo a letto, c’era la perquisizione, e la notte facevano casino e non mi facevano dormire».
A quel punto chiese di fare un colloquio con i magistrati. «Io chiedevo i magistrati – ha detto sempre Scarantino – ma venivano sempre quelli del gruppo “Falcone e Borsellino”, il dottor La Barbera e il dottor Bo». Quest’ultimo, Mario Bo, è uno dei tre poliziotti imputati nel processo per calunnia aggravata.
In realtà il racconto di Scarantino non è nuovo, già nel passato aveva avuto modo di affermare che per andare via da Pianosa avrebbe fatto arrestare anche la madre. Ma il carcere di Pianosa, ripristinato appositamente per l’emergenza mafiosa, era salito agli onor della cronaca proprio per le numerose torture che avvenivano nei confronti dei detenuti, tanto da essere stigmatizzato perfino da Amnesty International.
Pianosa, assieme a quello dell’Asinara, verrà chiuso solamente nel 1998 dall’allora ministro della giustizia Giovanni Maria Flick. Ma ritornando al processo in corso, in aula c'era pure Fiammetta Borsellino, la figlia minore del giudice Paolo Borsellino, parte civile nel processo. «È offensivo avere addebitato a uno come Scarantino la strage in cui è morto mio padre, semplicemente offensivo. Da quello che emerge dalla sua deposizione non posso che dire che questo. Sono esterrefatta», ha commentato a caldo le prime ore di deposizione.
L’ex pentito ha anche raccontato che «dal 2009 diceva sempre che era innocente ma non ero mai creduto, nemmeno quando era stato ascoltato dai pubblici ministeri».
Alla domanda del pm Paci del perché non l’ha detto subito dopo che Gaspare Spatuzza lo scagionava dicendogli “Ma chi sei?”, Scarantino ha replicato: «Io sono stato tanti anni in carcere e dicevo sempre che ero innocente, per me era impossibile che si cercasse la verità. Non mi fidavo».