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Israele apre le porte dell’inferno e riprende a sorpresa i bombardamenti sulla striscia di Gaza nella notte tra lunedì e martedì. “Forza e Spada” così è stata chiamata l’operazione lanciata dall’Idf e avallata dagli Usa.
Solo un mese fa Trump annunciò un «epico accordo di cessate il fuoco come primo passo verso una pace duratura in Medio Oriente», forse quest’ultima, dato il diniego degli stati vicini ad accogliere il popolo palestinese per lasciare libero spazio alla riviera di Gaza, nelle intenzioni del Tycoon richiede l’adozione di una soluzione finale. Il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale americana, Brian Hughes, ha rilasciato una nota nella quale specifica che «Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per estendere il cessate il fuoco, ma invece ha scelto la guerra».
Il premier israeliano Netanyahu, dopo aver ricevuto il benestare da parte dell’amministrazione statunitense, ha ordinato di riprendere gli attacchi nella striscia di Gaza a seguito del «rifiuto ripetuto di Hamas di rilasciare i nostri ostaggi e dopo il rifiuto di tutte le proposte che ha ricevuto dall'inviato del presidente americano Steve Witkoff e dai mediatori».
Il portavoce del Ministro degli Esteri israeliano, Oren Marmorstein, in un posto sui social ha affermato che «d'ora in poi, Israele agirà contro Hamas con crescente intensità militare» precisando che la decisione di rompere la tregua siglata il 19 gennaio è stata assunta «dopo che Hamas ha ripetutamente respinto le proposte di estendere il cessate il fuoco e rilasciare i nostri ostaggi».
La rottura della tregua ha riportato tra le fila del governo israeliano il partito di estrema destra ortodossa Otzma Yehudit, di cui fa parte l’ex ministro per la sicurezza nazionale Ben Gvir, come riportato da una nota congiunta rilasciata insieme al Likud, partito di appartenenza di Netanyahu. Otzma Yehudit aveva lasciato la coalizione di governo come segno di dissenso a seguito dell’accordo di cessate il fuoco con Hamas.
A Gerusalemme, davanti alla Knesset, un gruppo di manifestanti si è riunito per contestare i nuovi raid israeliani e chiedere di riprendere gli sforzi per la liberazione degli ostaggi ancora detenuti nella striscia. L’Hostages and Missing Families Forum in una nota ha accusato il governo di aver rinunciato alla vita degli ostaggi: «La più grande paura delle famiglie, degli ostaggi e dei cittadini israeliani si è realizzata, siamo inorriditi, furiosi e spaventati dall'intenzionale interruzione del processo di ritorno dei nostri cari dalla terribile prigionia di Hamas».
Il ministro degli esteri Gideon Sa’ar ha rivendicato la decisione di riprendere le ostilità «ci siamo trovati in un vicolo cieco, senza combattimenti e senza il rilascio degli ostaggi, e questo Israele non lo può accettare aggiungendo che Se avessimo continuato ad aspettare, la situazione sarebbe rimasta bloccata. Hamas non metterà in ginocchio lo Stato di Israele. Questo non accadrà e non succederà».
Il Ministero della Sanità di Gaza ha dichiarato che gli attacchi di hanno provocato oltre 400 morti, più di un quarto sarebbero bambini, e più di 500 feriti. La Croce Rossa denuncia lo stato degli ospedali ormai al collasso in cui mancano le forniture mediche di base per curare i feriti quali garze e antidolorifici. Hamas ha puntato il dito contro gli Stati Uniti, ritenuti pienamente responsabili degli attacchi per il loro appoggio incondizionato al governo Netanyahu.
Durante i raid, come confermato dall’ufficio informazioni del governo di Hamas, sono stati uccisi numerosi funzionari politici e militari tra cui Issam Da’alis, capo del governo di Hamas a Gaza, Ahmed al Hatta, sottosegretario del ministero della Giustizia e Mahmoud Abu Watfa, sottosegretario del ministero degli interni, oltre ad alcuni membri della jihad islamica palestinese.
Nel frattempo l’Idf, dopo aver bombardato Damasco la scorsa settimana, ha lanciato un nuovo attacco sulla Siria meridionale contro sistemi di artiglieria nei pressi della città di Khan Arnabeh, vicina al confine con Israele.