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Maurizio Scaparro è un regista attivo fin dagli anni Sessanta e ha realizzato spettacoli di successo. L’impianto realista dei suoi allestimenti e l’asciuttezza stilistica sanno lasciare spazio a un’estetica del sogno. Nella sua lunga carriera ha diretto realtà importanti, in Italia e all’Estero, come il Teatro di Bolzano, il Teatro di Roma e l’Eliseo, il Théâtre des Italiens di Parigi, la sezione teatrale della Biennale di Venezia. E oggi, all’età di 87 anni, porta in scena una nuova versione di quello che dal 1989 è stato un trionfo suo e di Giorgio Albertazzi, Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar.
Protagonista Pino Micol, che da tempo lavora al fianco del regista e ha interpretato sotto la sua direzione, Amleto, Riccardo II, Giulio Cesare di Shakespeare, Vita di Galileo di Bertolt Brecht, oltre che Don Chisciotte, film per la televisione del 1983. All’inizio del 2020 saranno in scena due suoi spettacoli, La pianista perfetta di Giuseppe Manfridi, con Guenda Goria nel ruolo di Clara Schumann, e Aspettando Godot di Samuel Beckett con Antonio Salines, Luciano Virgilio, Edoardo Siravo, Fabrizio Bordignon.
Memorie di Adriano è andato in scena alla Pergola di Firenze, restituendo quell’universo di equilibrio e bellezza che è la vita dell’imperatore romano raccontata da Marguerite Yourcenar, la storia di un uomo del secondo secolo dopo Cristo, paradigma di consapevolezza per i nostri tempi.
Le memorie di Adriano, uno spettacolo glorioso. Perché ha sentito la necessità di riprenderlo?
Per mantenere la vita di un classico, di uno spettacolo che ha avuto una lunghezza di esistenza difficile da raggiungere. Scomparso Albertazzi eravamo di fronte a un bivio: smettere o riprendere Memorie con un altro attore. Così nasce una nuova edizione, con Pino Micol, un interprete vitalissimo, ma anche completamente diverso da Giorgio Albertazzi, perché lo spettacolo non deve essere una ripetizione, né bisogna comparare le messe in scena di ieri e di oggi. Siamo di fronte a un classico, come a un testo di Shakespeare.
In cosa si differenzia dall’edizione di Albertazzi?
Ogni interprete porta con sé il suo essere attore. Sarebbe lo stesso per Amleto. Questa nuova edizione ha una serie di emozioni diverse. Adriano è nostro contemporaneo, un uomo simbolo, in lui vivono la parola guerra, la parola amore, speranza, sorpresa.
Come vive la contemporaneità?
Non credo che si possa essere ottimisti nel vivere in questo periodo, però sono positivo per quanto riguarda la forza del teatro. Malgrado quel che accade in Italia, in Europa e nel mondo, il teatro resta parola, pensiero, libertà, è ricordarsi ogni volta chi siamo stati, siamo e saremo.
Che pensa del pubblico teatrale?
Sono figlio del nostro tempo e noto con piacere che nel pubblico c’è grande attesa. Gli spettatori stanno cambiando, anche quelli che vengono a vedere Memorie di Adriano.
I giovani sono curiosi?
Lo dico perché me lo chiede: i ragazzi sono entusiasti di avere un rapporto con questa pièce. Seguono con un’attenzione quasi religiosa le parole di Marguerite Yourcenar. Almeno fino a oggi è stato così.
Il teatro ha ancora una dimensione di sacralità?
Vorrei dire molto chiaramente che non ha, ma può avere una dimensione di rito sacro, oppure essere un semplice passatempo.
Cos’è dunque il teatro per Maurizio Scaparro?
Il teatro di cui parliamo oggi è contro il nemico che ci aspetta, la stupidità.
C’è tanta stupidità?
Tanta, tanta, tanta, troppa e può farci del male. Penso che Memorie di Adriano sia anche un manifesto contro la stupidità.