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Toglieteci tutto ma non la bandoliera. In piena emergenza Covid-19, i carabinieri continuano a svolgere servizio con la tradizionale uniforme con la banda rossa sui pantaloni. E’ al momento caduta nel vuoto, infatti, la richiesta dei sindacati dell’Arma al comandante generale Giovanni Nistri di autorizzare l’uso della tuta normalmente impiegata per le attività di ordine pubblico. “La tuta - scrive questa settimana il Cocer in una nota - garantisce una maggiore sicurezza sanitaria poiché lavabile in lavatrice con qualsiasi disinfettante, al contrario dell’uniforme che deve essere portata in tintoria, dove molte sono chiuse o non garantiscono la pronta consegna”. Richiesta irrealizzabile per i vertici di viale Romania in quanto non ci sarebbero adesso tute sufficienti. Affermazione subito smentita dal Cocer secondo cui “in molte zone sono in dotazione e addirittura nelle aree terremotate ce ne sono in abbondanza”. Ma oltre alle tute mancherebbero i dispositivi di protezione individuale, ad iniziare dalle mascherine il cui utilizzo sarebbe stato limitato da Roma ai soli “casi eccezionali”. “La tutela del lavoro e della sicurezza non può permettersi in questo momento, la cura del tratto e della forma e questo il ministro della Difesa lo deve chiarire e ribadire con fermezza”, replica il Cocer.A dare manforte ai sindacalisti con le stellette, i parlamentati di Fratelli d’Italia. “Ho ritenuto opportuno sollecitare, insieme ai colleghi della Commissione Difesa Wanda Ferro e Davide Galantino, i ministri dell’Interno, della Difesa e della Salute, affinché siano presi immediatamente provvedimenti e vengano fornite tutte le dotazioni necessarie in modo da salvaguardare la tutela della salute del personale”, ha dichiarato ieri il capogruppo di Fd’I in Commissione Difesa alla Camera, Salvatore Deidda.Fra i motivi del dilagare del virus in Lombardia, da alcuni giorni si sta facendo strada l’ipotesi che siano state proprio le forze dell’ordine uno degli acceleratori del contagio. L’episodio scatenante verrebbe fatto risalire al deragliamento del Frecciarossa avvenuto lo scorso 6 febbraio ad Ospedaletto Lodigiano (LO) quando, come ormai da più parti accertato, il virus pare fosse già in circolo. Nei giorni seguenti al deragliamento, fra le centinaia di carabinieri e poliziotti intervenuti sul posto, molti iniziarono ad accusare gli stessi sintomi: febbre, tosse secca, dispenea. Si pensò ad una normale influenza di stagione e nessuno fece il tampone per il Covid-19. I militari, oltre che da Lodi, venivano dalle caserme delle provincie confinati: Milano, Bergamo, Brescia.Chi si era ammalato, passata la febbre, riprese subito servizio per essere impiegato, dal 23 febbraio e sempre nel lodigiano, ai controlli della prima zona rossa. Inizialmente, poi, l’uso mascherine era raccomandato soltanto a chi avesse contratto il Covid-19 in quanto ai “sani” veniva detto che era inutile. Le disposizioni da Roma in tal senso erano rassicuranti. In un tutorial della fine di febbraio del Comando generale dell’Arma si prevedeva l’uso delle mascherine da parte dei militari solo in presenza di “casi sospetti”. Nei giorni successivi, agli inizi di marzo, accadde l’irreparabile. Tutti iniziarano ad utilizzare le mascherine che, non essendo tante, venivano però indossate per più giorni e scambiate fra i militari in servizio. Quando ci si accorse dell’errore era ormai troppo tardi ed il virus stava dilagando nelle tre province, costringendo l’Arma a mettere in quarantena interi reparti, ad iniziare dal comando provinciale di Bergamo, e a chiudere molte caserme.