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Andrea Mascherin, presidente dimissionario del Cnf
Riportiamo di seguito l’intervento pronunciato ieri dal presidente del Consiglio nazionale forense alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2020 presso la Corte di Cassazione.
Signor Presidente della Repubblica, autorità, colleghi, magistrati tutti, studenti presenti, certamente molti tra i presenti già in passato hanno partecipato o assistito a questa cerimonia ed è inevitabile chiedersi se in realtà si rischi di replicare temi, lamentele, auspici, sempre gli stessi di anno in anno. Io penso che la inaugurazione dell’anno giudiziario un significato importante l’abbia sempre, ed è quello di ricordare al sistema Paese e a noi stessi la centralità della corretta idea di giurisdizione in un sistema democratico. Giurisdizione che tuttavia va considerata non solo come una funzione del Pubblico, ma come una manifestazione e rappresentazione della concezione di Stato di diritto, così come disegnato dalla nostra Costituzione. Una giurisdizione intesa come sede di libertà, di tutela dei diritti, del principio di eguaglianza, è una giurisdizione specchio di una democrazia evoluta e solidale. Una giurisdizione che veda sacrificati anche solo in parte questi valori rischia di essere il riflesso di una società che non pone più al centro, come dovrebbe, la persona e la sua dignità, allontanandosi così dal modello della Carta.
Della tenuta costituzionale del nostro sistema giustizia e sociale risponde certamente la politica, ma anche gli avvocati, i magistrati, i media, tutti i corpi intermedi portatori di responsabilità. Quello che tutti i soggetti responsabili devono avere ben chiaro è che giurisdizione e processo, ogni tipo di processo, significano mediazione e risoluzione secondo diritto dei conflitti tra i cittadini e tra i cittadini e lo Stato, diritto inteso come unico strumento non sacrificabile di garanzia della pace sociale, diritto e giurisdizione che non possono dunque essere piegati a interessi o obiettivi diversi da quelli della ricerca di un equilibrio collettivo democratico e pacifico.
Dobbiamo allora porci la domanda se oggi la giurisdizione, e dunque la società, sia pienamente orientata secondo Costituzione. Io credo si debba avere la lucidità di percepire come in realtà oggi vi sia il pericolo di uno scostamento dalla idea costituzionale di processo, inteso come sede di composizione dialettica dei conflitti, e lo stesso vale per alcune dinamiche del convivere e del confronto sociale.
Certo nessuno può voler disperdere il patrimonio di democrazia che dal secondo dopo guerra connota il nostro modello di Stato, ma non possiamo nasconderci come vi sia spesso ad opera della politica, e del mondo della informazione, o di gran parte di esso, una eccessiva semplificazione nell’approccio al sistema giustizia, come finiscano con il fondersi proposte di riforme legislative con la ricerca del consenso, o banalizzazioni mediatiche del processo con gli indici di ascolto. Non è ragionevole condizionare le scelte politiche ai sondaggi, privilegiando così aspetti emozionali e suggestivi su quelli razionali e tecnici, rifuggendo di conseguenza da opzioni che debbono, se necessario, essere anche impopolari, o sposando compromessi al ribasso. E l’assecondare un approccio irrazionale e atecnico alla giustizia, significa correre il rischio di deviare da principi cardine, come la consapevolezza che il processo civile non è solo processo di impresa, ma anche sede di tutela di diritti altri, alcuni socialmente molto sensibili, o, quanto al nostro processo penale, mettendo in discussione, sino a capovolgerla, la presunzione di non colpevolezza, il diritto alla difesa, vero baluardo democratico, o il principio di assistenza ai non abbienti, assieme ovviamente alla non rinunciabile indipendenza e autonomia della magistratura. Facciamo molta attenzione a negare, anche solo in parte, il pieno diritto di difesa per tutti: in ogni grado, le impugnazioni non possono essere intese come strumento dilatorio, vanno considerate come semplice esercizio del diritto di difesa. Facciamo molta attenzione a ipotizzare sanzioni a carico dei difensori, a sacrificare gradi di giudizio. Erodere il diritto di qualcuno vuol dire erodere il diritto di ognuno di noi, vuol dire iniziare a fare oscillare il pendolo della democrazia, facendo perdere a questa certezze e stabilità. Gli attacchi alla difesa, o alla indipendenza della magistratura, così come alla eguaglianza di fronte al giudice, sono realtà che possiamo toccare con mano in Paesi anche molto vicini a noi. Ricordiamocelo tutti, basta un tratto di penna per cancellare un diritto, e anche perciò il Consiglio nazionale forense ha proclamato il 2020 come l’“Anno dell’Avvocato in pericolo nel mondo”.
Ricordiamocelo come avvocati. Noi siamo chiamati a custodire i diritti fondamentali e le libertà, tra queste certamente anche quella della magistratura. Se lo ricordino i magistrati, che dovrebbero realizzare in maniera definitiva e matura, come richiamato dal Procuratore generale, come gli attacchi alla autonomia della Difesa vadano a minare la loro stessa indipendenza. Avvocatura e magistratura devono essere consapevoli che sulla loro indipendenza non può scendersi a compromessi, non difenderla reciprocamente vorrà dire votarla ad un non evitabile indebolimento.
La tutela della giurisdizione dunque passa attraverso il riconoscimento del pieno ruolo dell’avvocato in Costituzione, e su questo impegno, come su quello sull’equo compenso e sul patrocinio a spese dello Stato, siamo vicini e grati al Ministro, da cui ci separa invece altro, come, un argomento a caso, la di Lui posizione sulla prescrizione penale. A prescindere dalle cause e dalle narrative sulla durata del processo penale — e su io questo vorrei dire che tutti dobbiamo prenderci le nostre responsabilità, quello che va è merito di tutti, quello che non va è, pro quota, demerito di tutti e dev’essere oggetto di riflessione ed eventualmente di lucida autocritica — di certo non possiamo permetterci l’indeterminatezza dei tempi, sarebbe come se un chirurgo iniziasse l’intervento e poi ci lasciasse sul tavolo operatorio senza poter sapere quando, o se mai, terminerà l’operazione.
Tutti siamo consapevoli come solo importanti investimenti nella giustizia possano coniugare effettività delle tutele ed efficienza del sistema: a costo zero o sottocosto non si risolve nulla. Dunque, l’auspicio è che si prosegua, come va dato atto si sta facendo, a promuovere interventi in organici di magistrati, di personale amministrativo, di strumentazione, in edilizia giudiziaria, possibilmente predisponendo progetti condivisi di lunga prospettiva temporale, indipendenti dal mutare dei governi. Il che naturalmente non esclude interventi di razionalizzazione anche processuali, individuabili con competenza e prudenza prima di tutti dagli operatori del diritto.
L’avvocatura attraverso il proprio sistema ordinistico e le altre proprie rappresentanze è convinta che si debba riscoprire l’uso della ragione nell’accostarsi agli strumenti di tutela dello Stato di diritto. Dobbiamo recuperare il coraggio dell’intelletto, ovvero la capacità di saper dubitare e di saper ascoltare.
Buon lavoro a tutti.