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Alla fine “Mario” ha vinto la sua battaglia: è morto questa mattina nella sua abitazione come aveva chiesto, primo in Italia ad ottenere l’accesso al suicidio medicalmente assististo. Una possibilità resa possibile dalla sentenza Cappato/Dj Fabo della Consulta, e attuata dopo mille ostacoli e una lunga traversia giudiziaria. «Ora finalmente sono libero di volare dove voglio», sono state le sue ultime parole, le ultime celate dietro il nome di Mario. La vera identità di Federico Carboni, 44enne di Senigallia, è stata rivelata infatti dopo la sua morte, come aveva deciso lui stesso. Dallo scorso 9 febbraio aveva ottenuto il via libero definitivo per l’accesso al suicidio assistito, con il parere sul farmaco e sulle modalità “di esecuzione”, senza che l’aiuto fornito configurasse quindi il reato di istigazione o aiuto al suicidio. Ma in assenza di una disciplina in materia, Federico ha dovuto personalmente occuparsi di reperire il farmaco letale e la strumentazione necessaria per l’autosomministrazione. E ha dovuto anche sostenerne i costi, dal momento che lo Stato non se ne fa carico, con il sostegno dell’Associazione Luca Coscioni che ha attivato una raccolta fondi e ha reperito i soldi necessari (5mila euro) in poche ore. Oggi la svolta: il farmaco e il kit necessari sono stati consegnati a Federico, che si è autosomministrato la sostanza attraverso un macchinario apposito. La procedura di suicidio medicalmente assistito è avvenuta sotto il controllo medico di Mario Riccio, anestesista di Piergiorgio Welby e consulente di Federico Carboni durante il procedimento giudiziario. Al fianco di Federico la sua famiglia, gli amici, oltre a Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, Filomena Gallo, segretario nazionale, e una parte del collegio legale.La sua battaglia legale, lunga e complessa, ha avuto inizio nel 2020, e a differenza dei casi Dj Fabo e Davide Trentini, si è trattato di un procedimento civile volto a ottenere con una pronuncia d’urgenza il rispetto del diritto all’esercizio di una libertà individuale per poter procedere con l’aiuto al suicidio. Ma la sua sofferenza ha avuto inizio molto prima, nel 2010, quando un grave incidente stradale gli ha provocato la frattura della colonna vertebrale con la conseguente lesione del midollo spinale. Federico era tetraplegico e aveva altre gravi patologie. Ha provato tutte le strade possibili, ma le sue condizioni erano irreversibili. E insostenibili, come ha spiegato nel suo ultimo messaggio. «Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così. Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità, ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico», ha detto. «Non ho un minimo di autonomia della vita quotidiana, sono in balìa degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano - ha aggiunto -. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future quindi sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò. Con l’Associazione Luca Coscioni ci siamo difesi attaccando e abbiamo attaccato difendendoci, abbiamo fatto giurisprudenza e un pezzetto di storia nel nostro paese e sono orgoglioso e onorato di essere stato al vostro fianco». A sottolineare la sua caparbietà, che «ha aperto la strada per coloro che d’ora in poi si troveranno nelle stesse condizioni», sono stati Gallo e Cappato, che a nome dell’Associazione Coscioni, hanno espresso «gratitudine a Federico per la fiducia che ci ha dato in questi 2 anni, da quando ha preferito rinunciare alla possibilità di andare a morire in Svizzera e ha scelto di far valere i propri diritti in Italia». Anche se «per Federico, l’Associazione Coscioni ha dovuto sostituire lo Stato nell’attuazione dei diritti. Continueremo ad aiutare chi ce lo chiederà - assicurano - A questo punto, una legge come quella approvata alla Camera non servirebbe più».