«I rischi dello “sharenting” sono alti: una volta postata, l’immagine resta in rete per sempre e anche la sua rimozione potrebbe essere inutile. Né è possibile controllare l’uso che ne viene fatto, incluso quello per fini pedopornografici». Marina Terragni, Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, offre una riflessione profonda sui temi cruciali che riguardano l’intersezione tra la vita online e quella offline dei bambini e degli adolescenti.

Dalla gestione del tempo schermato e della responsabilità educativa, alla tutela contro i pericoli del cyberbullismo, fino ai rischi legati alla sovraesposizione dei minori sui social, Terragni spiega le sfide contemporanee nella protezione dell’infanzia nell’era digitale. Un’analisi che tocca anche le problematiche della salute mentale legate all’uso eccessivo della tecnologia e le misure da adottare per garantire un futuro sicuro e sano per le nuove generazioni.

In che modo i genitori possono bilanciare la responsabilità educativa nella dimensione on-life, dove la vita online e quella offline si intrecciano continuamente?

Vigilando attentamente sull’online e sul tempo- schermo e allentando un po’ il controllo nella vita reale, favorendo gli incontri in presenza senza un’eccessiva vigilanza degli adulti. È assolutamente necessario restituire spazi reali a bambini e adolescenti, e tempi “vuoti”, che non siano tutti saturati da attività organizzate, corsi, sport. I minori hanno bisogno di spazio e di tempo.

Come dovrebbero comportarsi i genitori di fronte al fenomeno crescente del cyberbullismo, soprattutto quando gli autori delle molestie sono anonimi e difficili da identificare?

Anche qui, restituendo spazio: la vita prevede anche momenti complicati, e i ragazzi devono imparare ad affrontare le inevitabili difficoltà senza dover regolarmente ricorrere al supporto degli adulti. Questo non significa che bulli e cyberbulli, quando identificabili, non debbano essere sanzionati.

Il fenomeno dello “sharenting” è in continua espansione. Quali misure possono essere adottate per sensibilizzare i genitori sui rischi legati alla condivisione delle immagini dei figli minori sui social media?

I rischi dello “sharenting” sono alti: una volta postata, l’immagine resta in rete per sempre e anche la sua rimozione potrebbe essere inutile. Né è possibile controllare l’uso che ne viene fatto, incluso quello per fini pedopornografici. I genitori vanno resi consapevoli di questo in modo che pensino bene prima di condividere le foto dei figli. Anche i bambini e i ragazzi hanno diritto di difendere la propria immagine e la propria dignità. Dai 14 anni in poi un adolescente vittima di cyberbullismo può richiedere da solo alle piattaforme la rimozione di contenuti offensivi: lo stesso dovrebbe accadere se non gli piacciono le foto pubblicate dai genitori o da altri adulti.

Come vede il fenomeno dei “baby influencer”, nel quale i genitori utilizzano i propri figli per scopi economici sui social media? Cosa pensa della recente decisione giudiziaria che ha inibito l’utilizzo di una bambina di quattro anni da parte della madre per scopi di immagine?

L’Autorità garante in passato ha proposto l’introduzione di una disciplina, ispirata a una legge francese, che prevede la verifica dei profitti generati online dai minori e il diritto alla cancellazione dei contenuti pubblicati. Comunque, oggi è già possibile estendere l’applicazione delle norme pensate per altre forme straordinarie di lavoro minorile consentite dalla legge, come lo spettacolo e la pubblicità, sottoponendo i profitti realizzati dall’attività alla verifica dell’autorità giudiziaria, limitandoli e soprattutto vincolandoli ad alcuni tipi di spesa che rientrano nell’interesse della famiglia. Detto questo, i genitori che sfruttano l’immagine dei figli a scopo commerciale costituiscono l’esempio perfetto di abdicazione dai compiti educativi, sono degli anti-genitori. Quanto al caso della influencer di Vigevano, non entro nel merito dell’ordinanza del Tribunale di Pavia, ma ritengo importante che l’attenzione sul caso faccia riflettere sui pericoli dell’adultizzazione e della sovraesposizione dei bambini.

Con l’aumento della presenza dei minori nell’on-life, come influisce la tecnologia sulla loro salute mentale e sul loro sviluppo psicologico?

Ormai molte ricerche dimostrano che un utilizzo precoce dello smartphone e in particolare la frequentazione dei social network è all’origine di problemi cognitivi e nell’apprendimento oltre che di disturbi psicologici anche gravi. Come detto, l’accesso va ritardato, il tempo-schermo limitato, e i genitori dovrebbero cominciare con l’educare anzitutto se stessi, curando la propria dipendenza dai device: non si può pretendere da un bambino quello che non si riesce a imporre a sé; un bambino che vede il proprio genitore incollato allo smartphone non potrà che desiderarne uno proprio prima possibile.

È possibile che sia necessario introdurre dei limiti più severi sull’accesso ai dispositivi digitali per i minori?

Da tempo l’Autorità garante chiede l’introduzione di un sistema per la verifica dell’età dei minorenni basato sulla certificazione dell’identità da parte di terzi, come avviene con lo Spid. Anche nel luglio scorso l’Agia ha ribadito l’opportunità, sostenuta sin dall’introduzione in Italia del Gdpr, di innalzare da 14 a 16 anni l’età del consenso senza l’intervento dei genitori al trattamento dei dati personali online. Temo che non sia possibile evitare il divieto anche se, come detto, vietare non basta.

Quali sono i temi più urgenti che ritiene necessario affrontare come Garante per l’infanzia, in relazione alla crescente digitalizzazione e al cambiamento delle dinamiche familiari?

Certamente la questione del digitale, a cui oggi afferiscono moltissime problematiche dei minori, è alla nostra prioritaria attenzione.