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C’ è la dignità. C’è lo spirito di coesione, ci sono l’emergenza e il dolore. La delibera con cui il Cnf lascia nel cono d’ombra dei «profittatori professionali» i «pochi iscritti» che hanno cercato di speculare sui medici e sulle vittime del coronavirus è un esempio di senso dello Stato e del ruolo sociale di due professioni «alleate», come le definisce Maria Masi. «Si tratta di casi isolati», ricorda la presidente facente funzioni della massima istituzione forense, «che vanno censurati. Non solo per tutelare la dignità della professione, ma anche in nome di un’alleanza con la Federazione nazionale degli Ordini dei medici che ha in sé un valore costituzionale. Che è rivolta, intendo dire, a promuovere nell’opinione pubblica la consapevolezza del ruolo che avvocati e medici svolgono. Si tratta di un valore che, in sé, è in grado di consolidare un senso di coesione sociale più ampio, un riconoscersi in alcuni elementi irrinunciabili per un Paese democratico. E le professioni sono evidentemente fra quei pilastri».
Nella delibera appena approvata dal plenum del Cnf si parla di un danno provocato, da quei pochi avvocati responsabili di «profittare» dell’emergenza per squallide autopromozioni, all’intera professione forense. Si tratta di atteggiamenti marginali, residuali. Ed è il primo aspetto da rilevare. Casi isolati in cui si assumono atteggiamenti moralmente censurabili. E se proprio vogliamo mostrare in modo forse imprevedibile quale danno queste persone arrechino all’intera avvocatura, si può forse citare anche un aspetto concreto. Oltre ai numerosissimi punti del nostro codice deontologico calpestati, si va contro l’interesse del mondo forense persino nel senso che l’allusione scorrettissima a una sbandierata gratuità delle prestazioni contraddice anni di battaglie sull’equo compenso. Si tratta di condotte fuorvianti anche da un simile punto di vista. Ma a parte tale aspetto, c’è un vero e proprio filotto di principi deontologici violati in maniera sconcertante.
Quali esattamente? Basta citare l’accaparramento di clientela, che è in sé una condotta deontologicamente scorretta e sanzionabile. Così come lo è la stessa fuorviante allusione a prestazioni gratuite. Ma più di ogni altra cosa, si calpestano il decoro e la dignità della professione, che ciascun avvocato è tenuto a custodire, con il tentativo di speculare sull’emergenza e sul dolore. Oltretutto, lo si fa in relazione a scelte compiute dai medici nelle condizioni terribili che sappiamo. Pensare di approfittarne è intollerabile.
Paradossalmente, si dimostra quanto serva l’avvocato in Costituzione: sarebbe un monito anche per chi abusa della toga. Partiamo intanto dall’evidente negazione di quel ruolo sociale che noi avvocati aspiriamo, appunto, a veder esplicitamente riconosciuto anche in Costituzione: chi specula sull’emergenza si rende responsabile anche di un simile tradimento. Ma ci si deve rendere conto che il ruolo sociale, e il rilievo costituzionale di quel ruolo, sono fra i principi a cui ci siamo rivolti quando, nel 2016, abbiamo stipulato come Consiglio nazionale forense un protocollo proprio con la Federazione nazionale degli Ordini dei medici. Nell’accordo firmato quattro anni fa ci si impegna alla realizzazione condivisa di azioni sinergiche per affermare, in modo più ampio possibile, due diritti che si trovano sullo stesso piano di rilevanza costituzionale: il diritto alla salute e il diritto di difesa.
E in che modo si possono promuovere nell’opinione pubblica valori del genere? Con la corretta informazione, che va favorita appunto in modo condiviso e sinergico da avvocati e medici. E guardi che adesso quell’urgenza è ancora più evidente di quattro anni fa. A maggior ragione in una situazione drammatica come quella che viviamo, è importante far comprendere ai cittadini il rilievo sociale delle nostre professioni. Ed ecco perché vanno espresse, come avviene nella delibera appena approvata dal Cnf, solidarietà e gratitudine ai medici, e vanno allo stesso modo rinnovate, con loro, l’intesa e l’alleanza. Certo, che il nostro ruolo sociale abbia in sé una forza pedagogica è anche implicito nel richiamo ai diritti e ai doveri che ciascun avvocato e ciascun medico devono sempre tener presenti.
Oltretutto, insieme i professionisti possono richiedere più efficacemente le tutele anche economiche che in questa prima fase il governo ha piuttosto trascurato. È un momento difficilissimo e insieme possiamo ottenere maggiore ascolto, certo. Noi avvocati siamo tenuti a ottenere ascolto anche per i diritti di altri. Mi limito a citare il diritto all’acqua. Che va assicurato a tutti, senza esclusioni.
A cosa si riferisce? A una particolare richiesta avanzata da reti e associazioni e del tutto condivisibile: garantire l’accesso a una risorsa primaria come l’acqua anche ai poverissimi che possono vederselo negato. A maggior ragione in giorni in cui viene ricordato a tutti di doversi lavare le mani. Come garanti dei diritti, riteniamo di doverlo essere, in un momento simile, per tutti coloro che, a maggior ragione ora, si trovano in difficoltà.
La tutela dei diritti è fra quei principi che rischiano di essere travolti dall’emergenza? Non sarà così. Anche in virtù dell’impegno e del lavoro condiviso di magistrati e avvocati. Mi riferisco per esempio alle linee guida adottate dal Csm in seguito a un’elaborazione condivisa con il Cnf. È stato importante individuare un’unicità di sistema nelle procedure spesso telematiche che è necessario adottare in questa fase. Dopo i protocolli relativi al settore civile e al penale, abbiamo definito la bozza del protocollo informatico utilizzabile anche dinanzi ai Tribunali per i minorenni. Seppure si tratti di un ambito che gli ultimi decreti puntano a non tenere bloccato, gli spazi materialmente troppo angusti impediscono il più delle volte di svolgere le udienze in condizioni di sicurezza.
Gli avvocati possono essere annoverati fra le categorie che assicurano, anche in piena epidemia, la continuità di alcune funzioni essenziali per lo Stato. Ma le conseguenze economiche sono, anche per loro, comunque pesanti. Sta per essere infranto il mito che descrive i professionisti come un’élite privilegiata? Va ricordato che proprio un tornante terribile come l’epidemia del coronavirus mostra a quali rischi sia esposto ciascun singolo professionista, dunque anche l’avvocato. Se mai ce ne fosse bisogno, il dramma che viviamo potrebbe dare occasione di comprendere qual è l’effettiva, reale condizione dei professionisti. Sì, forse in una difficoltà così estrema i nodi vengono al pettine. E non sarà più possibile ignorare le questioni sulle quali da tempo l’avvocatura chiede di intervenire.