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È stato giustamente detto che la filosofia schopenhaueriana tende a riprendere vigore nelle epoche di crisi, quelle di aperta sfiducia verso le possibilità dell’uomo o della sua storia, le più esposte al pessimismo; tanto che è possibile utilizzare Schopenhauer - le sinusoidi disegnate dalla sua fortuna critica - come un termometro, una cartella clinica, qualcosa che ci dice come stiamo. Ebbene oggi che l’etica ( dopo tanta mala economia) sembra ovunque venire in auge, colorare di sé ogni manifestazione umana ( Greta Thunberg docet), la filosofia di Schopenhauer - che sul problema del bene e del male è tutta incentrata - pian piano riprende quota.
Ne è un’ulteriore dimostrazione questo splendido volume di Bompiani, amorevolmente curato da Sossio Giametta per la collana di testi a fronte del “Pensiero occidentale”, dal titolo I due problemi fondamentali dell’etica. Schopenhauer vi raccolse nel 1841 due trattati affini: Sulla libertà del volere umano in cui nega il libero arbitrio ( ogni creatura ha una sua natura che è intenta a far quello che vuole, credendosi perciò libera, benché in realtà possa volere solo ciò che l’intrico dei motivi e del carattere gli impone); e Sul fondamento della morale in cui individua il fondamento dell’etica nella rottura del principium individuationis fonte dell’egoismo umano ( l’unica salvezza risiede nella compassione che arresta l’inclinazione a servirsi degli altri quali meri strumenti, favorendo altresì il riconoscimento d’un comune destino di sofferenza). Il primo trattato Sulla libertà del volere umano venne composto per un concorso indetto nel 1837 dalla Regia Società delle Scienze di Norvegia e vinse il primo premio; mentre il secondo Sul fondamento della morale, in risposta a un concorso indetto nel 1838 dalla Regia Società delle Scienze di Danimarca, fu rigettato in quanto non pertinente rispetto al tema. Di là dal loro contenuto filosofico che, come ricorda Schopenhauer, riprende «due teorie che, nei loro tratti fondamentali, si trovano nel quarto libro del Mondo come volontà e rappresentazione» tali opere sono importanti anche nella vita dell’autore, per la leggenda futura di Schopenhauer. Nota infatti Sossio Giametta: «La sua memoria sulla libertà del volere fu premiata dall’Accademia norvegese e fu, nella lunghissima Unbefriedigungszeit o epoca oscura dell’autore, allora cinquantunenne, il primo riconoscimento ufficiale, che comunque cadde nel vuoto».
Se a Rousseau, un secolo prima, era bastato il breve Discours sur les sciences et les arts, buttato giù in risposta a un quesito dell’Accademia di Digione, per ritrovarsi subito celebre; a Schopenhauer occorreranno ancora lunghi anni d’inverno critico prima d’essere finalmente salutato come un genio della filosofia. Il premio lo innalzò, ma solo per un attimo, per poi farlo precipitare ancor più in basso, nutrendone così il già acre pessimismo. La memoria sul fondamento della morale invece non solo non ricevette premio alcuno, ma venne addirittura bocciata. Quei bravi accademici danesi dissero pubblicamente che Schopenhauer non aveva letto bene e perciò aveva risposto a casaccio; in aggiunta condirono il loro giudizio con una finale ti- rata d’orecchie per essersi espresso «in modo talmente sconveniente» riguardo ad «alcuni sommi filosofi dei tempi recenti» ( rispettosa perifrasi dietro la quale si celavano i nomi di Fichte, Schelling e della bestia nera di Schopenhauer, l’odiato Hegel). Cosicché, dopo averlo agitato ben bene, la prefazione alla prima e alla seconda edizione dell’opera non poteva non tramutarsi in pura nitroglicerina, cioè in pagine di esplosiva filosofia antiaccademica ( nello specifico antihegeliana) avvicinabili per forza polemico- piroclastica solo all’altro devastante Flugschrift schopenhaueriano ovvero Sulla filosofia da università. Capita di rado che la prefazione a un libro abbia pregi intrinseci quasi superiori al libro stesso, che il contenitore sia superiore al contenuto; eppure questo volume Bompiani sembra davvero una bambolina matrioska: abbiamo infatti uno “Schopenhauer etico” racchiuso in uno “Schopenhauer antiaccademico” racchiuso in un Sossio Giametta gran filosofo e traduttore, per giunta estraneo a qualsiasi scolasticheria.
In breve il Saggio di Francoforte non poteva trovare una sponda italiana migliore per profondità filosofica, brio linguistico e soprattutto per genealogia ( Giametta è anche uno studioso fortissimo di Spinoza e Nietzsche: due “postazioni” ideali da cui guardarlo). Tanto che, senza nulla togliere agli altri schopenhaueriani d’Italia - da Giuseppe De Lorenzo a Piero Martinetti, da Giorgio Colli ad Anacleto Verrecchia - a novant’anni, per la sua dedizione e i libri tradotti, gli spetta di certo la palma. Come epigraficamente dichiara nell’Introduzione: «Il sistema di Schopenhauer può vantarsi di essere la stele di Rosetta che permette di decifrare il linguaggio misterioso iscritto nella natura, come nessun sistema aveva fatto prima», e lui ormai ne è lo Champollion.