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I diritti fondamentali dell’uomo, a maggior ragione se iscritti nella Costituzione, sono inviolabili e non possono subire limiti. Qualunque strumento di indagine e di lotta alla criminalità organizzata non può essergli considerato superiore. E’ questo il senso del verdetto della Corte di Strasburgo, la Cedu, sull’ergastolo ostativo. Le norme italiane dovranno adeguarsi. Ne parliamo diffusamente in altra parte del giornale: per il Dubbio è un terreno fondamentale, da presidiare.
Ma quanto a Costituzione c’è anche un’altra novità, decisiva. Il Parlamento, infatti, ha approvato in via definitiva la riduzione di deputati ( 400) e senatori ( 200).
Anche di questo ci siamo lungamente occupati mettendo in luce i rischi di mutamenti random della Carta. Non abbiamo cambiato opinione. Adesso, però, vale la pena di occuparsi delle conseguenze politiche che provoca. Bisogna aspettare l’eventuale referendum confermativo, se ci sarà, per capire meglio: ma l’ampiezza dei sì ( 553 su 615) nell’ultima votazione di Montecitorio lascia intendere che assai difficilmente i partiti ingaggeranno battaglia per modificare una misura che gode di grande popolarità, anche se non per forza giustificata.
In molti sostengono che una simile situazione contribuirà grandemente a portare la legislatura alla sua conclusione naturale. In queste condizioni chi può volere non tanto la crisi quanto lo scioglimento anticipato, peraltro senza una nuova legge elettorale?
Tuttavia non è una stabilizzazione pacifica destinata a determinare scenari idilliaci. O anche solo a certificare quel bisogno di “tregua” che da più parti viene reclamato. Il pericolo, anzi, è il contrario. Che cioè al riparo dell’impossibilità elettorale, i partiti di opposizione ( più giustificati) e quelli di maggioranza ( assai meno, anzi per niente) giochino con spavalderia e talvolta addirittura in maniera ribalda, il gioco delle contrapposizioni al fine di mantenere alta la propria visibilità e identità.
Se così fosse, invece di evolvere il quadro politico ripiomberebbe nell’incubo degli ultimi mesi del “Contratto” gialloverde, quando il litigio era l’impasto della coalizione. Determinando l’effetto più nefasto di tutti: l’impasse dell’azione di governo. Un costo che né l’attuale maggioranza, né il premier e né soprattutto il Paese possono permettersi.