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Il condizionale rimane d’obbligo, ma la bozza del decreto è stato licenziato ieri all’alba con il proverbiale «salvo intese» che salva ogni futuro cambiamento.
In attesa del testo definitivo da presentare al Parlamento, a far discutere le tre anime del governo sono in particolare due passaggi: l’abbassamento del tetto dei pagamenti in contanti dai tremila ai mille euro in tre anni, avversato soprattutto da Italia Viva ma anche dal Movimento 5 Stelle e sponsorizzato invece dal premier Giuseppe Conte; ma soprattutto l’inasprimento delle pene detentive per gli evasori fiscali, che passano da sei a otto anni ma che, ha assicurato Luigi Di Maio, «non criminalizza i cittadini e le categorie».
Un’idea ripresa anche dal capo dell’Anac cantone che, nel suo ultimo dossier a capo dell’anticorruzione, ha avvisato: «L’evasione fiscale non si risolve solo con la prigione» .
CARCERE AGLI EVASORI
Le manette per quelli che i grillini chiamano «grandi evasori» è battaglia storica del Movimento e ha trovato casa nel decreto fiscale. Il premier Conte, nelle due interviste pubblicate ieri, si è intestato anche l’introduzione di questa norma, ma lo stop potrebbe essere dietro l’angolo.
La modifica della legge penale, infatti, sarebbe in bilico nella sua attuale collocazione e potrebbe finire in un altro testo.
Anche comunicativamente, tuttavia, per i 5 Stelle potrebbe trattarsi di un passo falso. Tanto da indurre lo stesso Di Maio a precisare: «Io non ci sto a scatenare la guerra tra poveri.
L'Italia ha decine di miliardi di euro di evasione perchè ci sono stati soggetti che hanno portato anche milioni di euro fuori dai nostri confini e li hanno fatti rientrare con scudi fiscali al 5%. Dobbiamo introdurre strumenti che blocchino la grande evasione».
Tradotto: l’inasprimento delle pene non toccherà i piccoli commercianti e gli artigiani. Come, è complicato capirlo prima di una lettura del testo definitivo. Di Maio ha precisato che la confisca per spoporzione sarà indirizzata a «chi fa fatture false oltre 100 mila euro», il che individua una platea di potenziali destinatari che agiscono con «spregiudicatezza e capacità di architetture contabili».
Tuttavia, i grillini sono corsi al riparo: «Rigetto l’epiteto di cultura manettara: quando si dice carcere per gli evasori io rispondo carcere per i grandi evasori che è una cosa ben diversa», ha precisato Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente del Parlamento Europeo.
Eppure, tutto così lineare ancora non è. Per cercare la quadra ieri si è tenuto un vertice di maggioranza a Palazzo Chigi, al quale erano presente non solo i rappresentanti delle diverse forze ma anche il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Segno che proprio sulle norme fiscali che impatteranno sulla giustizia penale c’è ancora da mettere a punto i passaggi.
Se non proprio uno stop, sicuramente c’è stata una battuta d’arresto. «Si è trovato un accordo, quello di discutere del carcere ai grandi evasori nel decreto fiscale nelle prossime settimane facendo incontrare le posizioni diverse. È sbagliata la lettura di un litigio nella maggioranza: c’è stata una giusta discussione ed è ovvio che sia così», sono state le parole del leader del Pd, Nicola Zingaretti, che di fatto certifica come la presenza della norma nel testo sia tutt’altro che scontata.
Come cauto è stato anche Conte, il quale ha spiegato che le forze politiche sono d’accordo sul fatto che «È giusto prevedere pene detentive nei casi più gravi», ma «Non abbiamo ancora completato questo tassello, ci stiamo lavorando».
L’abbassamento della soglia di contante, sponsorizzato in prima persona da Conte che ne ha rivendicato l’introduzione, ha mandato in confusione una buona fetta di maggioranza. Il primo a dirsi contrario è stato Matteo Renzi, scettico sul fatto che il tetto «possa combattere l’evasione».
Meno esposti ma altrettanto dubbiosi e anche irritati dallo scatto in avanti di Conte, anche i parlamentari del Movimento 5 Stelle. Alcuni membri della commissione Finanze, infatti, avrebbero sollevato la questione con i colleghi al governo: «La norma rischia di diventare un boomerang per i piccoli artigiani e commercianti, quelli su cui gravano commissioni bancarie maggiori», è il ragionamento più diffuso. Critica che fa il paio con la stessa preoccupazione anche per quanto riguarda l’inasprimento delle pene per gli evasori.
Che manovra e decreto fiscale presentino più di un punto ancora non del tutto chiarito, tuttavia, lo conferma lo scontro sottotraccia tra il premier Conte e Luigi Di Maio. Quest’ultimo ha parlato di un ulteriore consiglio dei ministri da tenersi lunedì prossimo per approvare la legge di Bilancio, ma è stato seccamente smentito dal presidente del Consiglio, il quale ha precisato che «Abbiamo fatto le sei del mattino proprio per approvare la legge di bilancio e il decreto fiscale.
Con la formula salvo intese, i testi non hanno bisogno di un altro Consiglio dei ministri, andranno direttamente in Parlamento appena pronti». Eppure, i due testi continuano ad agitare i gruppi parlamentari, in particolare quello grillino, che non apprezzano il personalismo di Conte nell’intestarsi la lotta all’evasione e le conseguenti scelte strategiche in manovra, che per altro non convincono del tutto gli eletti pentastellati. Sul fronte dem e Italia Viva, invece, il voltaggio della polemica si è abbassato. Anche se la sensazione, almeno
DI MAIO PRENDE LE DISTANZE DAL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO: «IO NON CI STO A SCATENARE LA GUERRA TRA POVERI»
per quanto riguarda Italia Viva, è che l’obiettivo sia “parlamentarizzare” le eventuali divergenze: «Fatta la manovra il Parlamento dovrà avere spazi per correggerla», ripetono i parlamentari in attesa della Leopolda del fine settimana. E nel mirino potrebbe tornare la conferma di Quota 100, apertamente avversata da Renzi.