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Stasera dalle 19 alle 19: 30 Marta Branca, Direttore Generale dell'Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma, risponderà, durante una diretta Facebook dell'Inmi, ai cittadini che invieranno le domande mediante i canali social o alla email comunicazione@inmi.it. Noi qualche domanda gliela abbiamo già posta in questa intervista.
Direttore Branca, il Presidente dell'Accademia dei Lincei ha lanciato un allarme che è stato accolto da 100 scienziati e giuristi che hanno chiesto misure più stringenti per fermare l'aumento dei contagi. Domenica è arrivato un nuovo dpcm. Qual è il suo parere in merito?
Credo che il modo migliore per contenere i contagi sia quello di rispettare le regole di prevenzione: utilizzo della mascherina, distanziamento fisico, evitare gli assembramenti e detergersi spesso le mani. Se nonostante queste misure i contagi dovessero aumentare sempre di più i decisori si troverebbero inevitabilmente nelle condizioni di prendere misure più drastiche. Per quanto concerne il Lazio, in particolare, se lei legge l'ordinanza emessa qualche giorno fa è vero che è stato predisposto il coprifuoco dalle 24 alle 5, ma allo stesso tempo è stato previsto l'aumento dei posti letto e delle terapie intensive. Ciò significa che l'impegno per fronteggiare la pandemia deve essere preso da tutti: dal sistema sanitario nell'incrementare assistenza e personale e dalla collettività nel rispettare le regole di comportamento. Per quanto riguarda l'appello di cui mi chiedeva un parere, certamente esprime una preoccupazione alla luce dell'aumento dei contagi, e mi pare sia stato raccolto anche dal governo viste le misure ulteriormente restrittive che emergono dall’ultimo Dpcm.
Dal punto di vista della gestione sanitaria cosa abbiamo imparato in questi mesi?
Nell'Istituto Spallanzani, essendo un centro per le malattie infettive, tutti i protocolli che concernono la gestione dei pazienti infetti sono ovviamente conosciuti e applicati normalmente e quotidianamente. Negli altri ospedali, sicuramente si è fatta maggiore pratica nella gestione dei percorsi separati e nell’uso appropriato dei dispositivi di protezione individuale. Tutti, più in generale, abbiamo migliorato l’assistenza ai pazienti ricoverati specie riguardo alle terapie da applicare: non avendo questa infezione, al momento, un unico modello di cura, abbiamo imparato a personalizzare le terapie usando farmaci antivirali anche non specifici e varie tipologie di supporti respiratori ove necessario. Quindi sicuramente abbiamo acquisito una maggiore esperienza che oggi si rivela efficace.
Oggi siamo nelle stesse condizioni di marzo?
La situazione rispetto ai mesi precedenti è abbastanza cambiata: oggi il 96 per cento delle persone che hanno contratto l'infezione da Covid- 19 è in isolamento domiciliare con pochi sintomi o nessun sintomo, circa un 6 per cento è ricoverato nei reparti ospedalieri e meno dell’ 1 per cento è in terapia intensiva. Inoltre la maggior parte di coloro che vengono ricoverati nelle terapie intensive, poi riesce a superare la fase critica e a tornare in reparto. Questo dipende anche dal fatto che facciamo più diagnosi precoci e riusciamo a prendere in tempo i pazienti. Se perdura questo tipo di quadro, la situazione può essere tenuta sotto controllo. In caso contrario, ovviamente il sistema andrebbe in sofferenza. In questi ultimi giorni in alcuni pronto soccorso si sta verificando un po’ di sovraffollamento e quindi - in particolare nella Regione Lazio – la rete degli ospedali si sta attrezzando per riservare ai pazienti Covid positivi un maggior numero di posti letto, sia di ricovero ordinario che di terapia intensiva proprio al fine di non far mancare a nessuno la dovuta assistenza.
Stiamo purtroppo assistendo al cosiddetto “distanziamento sanitario”: molte prestazioni vengono annullate dagli ospedali e contemporaneamente le persone hanno paura a recarsi nelle strutture ospedaliere per paura di contrarre il virus.
Anche qui all'Istituto Spallanzani abbiamo registrato questo fenomeno. Noi assistiamo moltissimi malati cronici affetti per esempio da epatiti, Hiv, Aids che periodicamente si recano da noi per effettuare una visita o per ricevere terapie e medicine. Molti di loro hanno avuto paura e si sono allontanati: noi abbiamo comunque cercato di seguirli in altro modo, ad esempio con la telemedicina, e richiamandoli spesso per tranquillizzarli. Abbiamo avuto un calo anche per quanto riguarda le altri visite infettivologiche generali. Questo è comprensibile perché c'è la paura ma voglio rassicurare le persone dicendo che noi comunque, come centro di malattie infettive, abbiamo percorsi separati e i nostri operatori sono perfettamente addestrati alla gestione dei pazienti infettivi. In generale però è necessario potenziare i servizi territoriali in modo da essere sempre più “l’ospedale” che offre i propri servizi “verso le persone” piuttosto che costringere i cittadini a venire sempre e comunque in ospedale.
Ovviamente una migliore gestione in prima linea della pandemia passa anche attraverso un aumento delle persone che si vaccinano contro l'influenza. Purtroppo in media si vaccina solo il 17 per cento della popolazione.
Sì, è corretto. Bisogna vaccinare quante più persone possibili, soprattutto quelle appartenenti alle categorie più a rischio. Inoltre, come sappiamo, spesso i sintomi dell'influenza sono simili a quelli del Covid e, quindi, dobbiamo evitare che, come accade ogni anno, nei mesi di “picco” delle influenze (dicembre e gennaio) le persone debbano recarsi al pronto soccorso per le conseguenze dell’influenza, sovrapponendosi a chi ha infezione da Covid 19 e stressando così il sistema che potrebbe andare in affanno. Noi al momento però abbiamo notato un aumento dei vaccinati e ci auguriamo che questo trend aumenti.
Che cosa le preme dire a chi ci sta leggendo?
Vorrei fare una raccomandazione che non mi stancherò mai di ripetere e cioè quella di “aiutarci ad aiutare”, rispettando le regole di comportamento per la prevenzione del Covid 19. Siamo consapevoli che chiediamo un sacrificio ma se tutti le rispettassimo il contagio diminuirebbe di 1000 volte.