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Questo articolo, pubblicato pochi giorni dopo che il fratello di Deyfus, Mathieu, ha formalmente denunciato Esterhazy per il delitto di spionaggio, per il quale era stato ingiustamente condannato Alfred, segna una sorta di messa a punto operata da Zola. Infatti, lo scrittore, nutrendo una qualche riposta fiducia che il nuovo processo a carico di Esterhazy possa condurre al riconoscimento della innocenza di Dreyfus, sente il bisogno qui di chiarire la situazione come si era delineata fino a quel punto. Per il resto, scrive Zola, «Un nuovo Consiglio di Guerra è al lavoro… non resta che tacere e aspettare». Questo prudente atteggiamento di attesa non esenta tuttavia dal cercare di capire cosa sia accaduto nei periodi precedenti e come possa essere che un innocente sia finito alla deportazione perpetua. Zola individua così alcuni elementi determinanti della situazione. Innanzitutto, la stampa. Da un lato lo scrittore denuncia il comportamento della maggioranza dei giornali, da subito ostili a Dreyfus, ma in modo pregiudiziale. Sono soprattutto i giornali popolari a stimolare «passioni nefaste», conducendo campagne settarie e spingendo il pubblico dei lettori non a farsi una idea propria e indipendente, ma a schierarsi necessariamente contro il capitano ebreo. Un vero inquinamento sociale organizzato a tutti i livelli e, quel che è peggio, in perfetta buona fede. Ma è noto che di buona fede son lastricate le vie dell’inferno. Invece, la grande stampa nazionale – quella delle classi colti e della grande borghesia - ha fatto forse di peggio, registrando in modo anonimo tutto e il contrario di tutto, la verità come l’errore, indifferentemente. E tutto ciò spacciato per imparzialità, men- tre si tratta in modo evidente di una condotta pericolosamente pilatesca di evitare di dire la verità, che invece andrebbe gridata forte dai tetti. In secondo luogo, un elemento determinante è senza alcun dubbio l’antisemitismo, come dice Zola, “il vero colpevole”. E qui bisogna intendersi. Tutti siamo un po’ abituati a considerare patria dell’antisemitismo la Germania e, in particolare, quella nazista, dove in effetti si toccarono vertici di efferatezza difficilmente eguagliabili. Invece, l’origine dell’antisemitismo risa a periodi precedenti e comunque trova in Francia una delle sue espressioni più compiute e strabilianti. Non per nulla Isacco Pinto, un ebreo portoghese, in un suo commento alle opere di Voltaire, ne muove a questi un cauto ma fermo rimprovero. E Voltaire, in una lettera di risposta, datata 21 luglio 1762, pur riconoscendo il torto di avere attribuito «a tutto un popolo i vizi di molti individui», fa carico agli ebrei di essere irrimediabilmente superstiziosi, «e la superstizione è il più abominevole flagello della terra». Si può discutere a lungo sulla natura dell’antisemitismo voltaireano nel considerarlo dovuto solo a una radicata avversione al misticismo ebraico, sepolcro della ragione, o piuttosto a fobie, paradossalmente irrazionali, come quando, al capitolo VIII dell’Essais sur les moeurs, definisce gli ebrei «specie d’uomini inferiori». Resta il fatto che l’odio antiebraico scorre come una linfa segreta lungo tutto il corso della storia culturale francese (ed europea, come nota Léon Poliakov). Forse, eccettuato sicuramente Rousseau, pochi altri pensatori francesi del XVIII e del XIX secolo vanno esenti dal germe maligno dell’antisemitismo: per esempio, esso vegeta il Lamartine e ( in tono velato) in Balzac; in Charles Fourier e in Proudhon. Ecco perché il processo che si sta celebrando a carico di Esterhazy viene visto da Zola come un processo all’antisemitismo, che, nella temperie culturale francese di fine secolo, si sposa con il patriottismo e con il militarismo, propiziando il nascere e l’affermarsi di una miscela esplosiva che, naturalmente, alligna più fra le classi medio- basse che nelle fasce più acculturate della popolazione. Il terzo elemento preso in esame da Zola è la presenza degli spettatori di questa grande tragedia nazionale ed europea, ciascuno depositario di una parte che svolge fino in fondo. Il risultato è un pantano di interessi, di passioni, di storie insulse e spesso inventate, di vergognosi pettegolezzi, ove il semplice buon senso «viene schiaffeggiato ogni mattina». Zola spera che il processo in quel momento in corso nei confronti di Esterhazy, davanti al secondo Consiglio di Guerra, riconoscendone la colpevolezza e scagionando perciò Dreyfus, torni a far prevalere il buon senso. Non sarà così.