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C’è una bambina da sola, in mezzo al mare. Ha 11 anni, è partita da Sfax, in Tunisia, ma è nata in Sierra Leone. Si chiama Yasmine, che in arabo vuol dire Gelsomino. È l’unica superstite di un naufragio avvenuto tre giorni fa al largo di Lampedusa, l’ennesimo, un’ipotetica nemica da cui la politica italiana vorrebbe difendere le frontiere.
Tutti gli altri, 44 persone tra le quali anche il suo fratellino, sono scivolati nel buio della notte nel Mediterraneo. Sono morti tutti, tranne lei. Che si è aggrappata a due vecchie camere d’aria e un giubbotto salvagente. Ma anche alla vita, resistendo alle onde alte tre metri e al terrore. Sono state le sue urla a salvarla, sovrastando il rumore del motore di una barca a vela della Ong tedesca Compass Collective, la Trotamar III.
L’equipaggio stava passando al setaccio la zona alla ricerca di uno dei tanti barchini segnalati in mare da Alarm phone quando, alle 3.20, uno dei volontari a bordo l’ha sentita gridare. Una volta spento il motore, a guidare il gommone nella notte buia è stata proprio la voce disperata della bambina. L’hanno trovata tremante, spaventata, in stato d’ipotermia, ma ancora viva. Un vero e proprio miracolo, ha spiegato il capitano Matthias Wiedenlübbert. Senza la Trotamar, quello che per la politica di destra sarebbe un taxi del mare, anche Yasmine sarebbe morta. E la sua storia e quella degli altri disperati finiti in fondo al mare non sarebbero mai state raccontate. Semplicemente non sarebbero mai esistite, rimanendo fuori da ogni statistica, quelle usate per raccontare storie distanti anni luce dal mondo reale.
La storia di Yasmine sta impressa in una foto. È stesa, avvolta da una coperta termica, e di lei si vedono solo gli occhi, profondi come il mare che ha appena vinto. Il suo viaggio è iniziato qualche giorno prima a bordo di una piccola imbarcazione di metallo, sulla quale il padre aveva trovato un posto per i suoi due figli, aspettando a riva il prossimo giro e sperando intanto di mettere in salvo loro. È rimasto lì, ignaro di tutto. La barca di Yasmine, però, non ha retto la tempesta, le onde altissime e il vento a 23 nodi.
Dopo il naufragio, la bambina è rimasta in compagnia di altre due persone, anche loro, alla fine, inghiottite dal mare. «Siamo partiti 4 o 5 giorni fa da Sfax - ha raccontato la bambina all’equipaggio della nave -. Eravamo 45. Tre giorni fa, a causa della pioggia e del vento, la barca è affondata. Tutti siamo finiti in mare. Vicino a me sono rimasti due ragazzi, poi dopo due giorni non li ho più visti, il mare li ha allontanati». A salvare Yasmine, rimasta senza cibo né acqua potabile, sono state quelle due vecchie camere d’aria, che l’hanno tenuta a galla per giorni. E la presenza di quella ong, nonostante le condizioni proibitive e gli ostacoli creati a tavolino per impedire la perlustrazione del Mediterraneo.
Dopo essere stata rifocillata, la bambina è caduta in un sonno profondo. Fino all’arrivo a Lampedusa, alle 6 del mattino, dove è stata accolta dai volontari della Croce rossa e visitata al poliambulatorio dell’isola. Stanca e confusa, le sue condizioni sono considerate discrete. La piccola è stata accolta all’hotspot di Contrada Imbriacola, che ospita attualmente 570 persone. I volontari le hanno dato un telefono per contattare il padre, che ora dovrà dividersi tra la gioia di una figlia salvata e il dolore di un altro figlio sommerso.
La tempesta degli ultimi giorni ha impedito a diverse imbarcazioni delle Ong di uscire in mare. La Trotamar, nella stessa notte, aveva già individuato un’imbarcazione in legno senza motore, che trasportava 53 persone, distribuendo giubbotti di salvataggio e informando le autorità italiane. «È stata una coincidenza incredibile che abbiamo sentito la voce della bambina nonostante il motore fosse acceso - ha spiegato Wiedenlübbert -. E, naturalmente, stavamo ancora cercando altre persone. Ma dopo una tempesta durata giorni, con oltre 23 nodi e onde alte 2,5 metri, non c'era speranza». Anche in caso di tempo burrascoso, ha aggiunto Katja Tempel, di Compass Collective, «le persone sono costrette a prendere vie di fuga rischiose attraverso il Mediterraneo. Abbiamo bisogno di passaggi sicuri per i rifugiati e di un’Europa aperta che accolga le persone e dia loro facile accesso al sistema di asilo. Annegare nel Mediterraneo non è un'opzione».
La storia di Yasmine non è un caso isolato. Ogni giorno, infatti, il Mediterraneo si trasforma in una enorme fossa comune e nonostante gli allarmi e le segnalazioni di Alarm Phone, molti migranti scompaiono tra le onde. Una realtà che fa a botte con politiche europee che trattano i migranti nell’ottica dell’emergenza sicurezza e non come un problema umanitario.
Solo la notte scorsa sono sbarcati a Lampedusa 356 migranti, provenienti dalla Libia, con barche piene di siriani, sudanesi, bengalesi e altri popoli in fuga. Cinque le barche soccorse dalle motovedette della capitaneria, della Guardia di finanza e dell’assetto Frontex, una delle quali con 111 persone a bordo, salpata da Sabratah in Libia. «Siamo costretti a denunciare che almeno altri tre naufragi potrebbero essersi verificati nei giorni scorsi lungo la rotta tra le coste tunisine e Lampedusa: dal 2 dicembre, infatti, Alarm Phone ha segnalato prima la sparizione di due barche rispettivamente partite con 45 persone a bordo il 27 novembre e con 75 persone il 30 novembre dalla Tunisia; poi il 4 dicembre ha segnalato un’ulteriore imbarcazione con a bordo altre 45 persone dispersa dal 30 novembre», si legge in una nota di Mediterranea.
Lungo la rotta dalla Tunisia a Lampedusa, ha dichiarato Luca Casarini di Mediterranea, «ha imperversato nei giorni scorsi una vera e propria tempesta. Per questa ragione chiediamo che le Autorità Italiane, insieme a maltesi e tunisine, lancino immediatamente un’operazione di ricerca a vasto raggio per rintracciare possibili superstiti. Vite in pericolo in mare non possono essere in alcun modo abbandonate».