PHOTO
L’ombra sinistra del chino ha oscurato il Perù per almeno un decennio(1990-2000) periodo in cui ha governato la nazione con il pugno di ferro, rendendosi responsabile di atroci violazioni dei diritti umani nella sua lotta senza quartiere contro la guerriglia di estrema sinistra.
Lo chiamavano così per le sue origini asiatiche in quanto figlio di due giapponesi emigrati a Lima negli anni 30 e poi rimasti in Perù dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Laureato in ingegneria agraria, già professore di matematica, negli anni 80 diventa rettore dell’Università La Molina e poi presidente dell'Asamblea Nacional de Rectores, una poltrona prestigiosa che gli dà notorietà e lo porta a condurre un programma sulla tv nazionale. Nel 1989 fonda il suo movimento politico Cambio 90 e l’anno successivo si presenta a sorpresa alle elezioni presidenziali da perfetto outsider.
Con grande stupore di tutti gli osservatori Fujimori approda al secondo turno dove sfida lo scrittore Manuel Vargas Llosa, candidato della destra. Durante la campagna elettorale tra i due turni ottiene il sostegno dei media filogovernativi e dell’Alleanza Popolare Rivoluzionaria Americana, il partito del presidente Alan Garcia convinto che el chino rappresentasse per il Paese il male minore. Il ballottaggio è un autentico trionfo: Fujimori stravince con il 62,5% e diventa capo dello Stato. Ma l’indecifrabile professore di agraria sorprende ancora una volta un po’ tutti, abbandona in fretta le promesse elettorali sulla battaglia alla povertà e lancia un piano di liberalizzazione dell’economia su ampia scala ribattezzato “Fujishock”.
Con il sostegno e la supervisione del Fondo monetario internazionale, la moneta nazionale viene svalutata del 200%, i prezzi aumentano vertiginosamente (soprattutto la benzina aumentata fino a trenta volte), centinaia di aziende pubbliche vengono privatizzate e 300.000 posti di lavoro vengono soppressi.
Dal punto di vista della crescita il governo ottiene risultati immediati: il Perù esce dalla recessione e il prodotto interno lordo sale fino a + 12%. Ma il bilancio sociale delle politiche ultraliberiste è pesantissimo con la perdita di posti di lavoro, la diminuzione dei salari, il taglio dei servizi pubblici e un tasso di povertà che galleggia attorno al 50%. A beneficiare della cura choc sono principalmente le classi medio alte.
Nel 1992 realizza quello che viene chiamato “autocolpo di Stato”, con lo scioglimento del parlamento e la sospensione delle attività della magistratura, on le forze armate schierate nelle principali città, davanti le sedi di partiti, sindacati e giornali per impedire disordini e manifestazioni di protesta. Pur essendo presidente del Perù il suo partito era soltanto la terza forza parlamentare e Fujimori voleva governare senza i veti dell’opposizione.
L’anno successivo il cerchio si chiude con la modifica della Costituzione del 1979 tramite referendum (la maggioranza dei peruviani approvava le iniziative del presidente): la nuova carta limita drasticamente i poteri di controllo delle autorità pubbliche e pone l’economia di mercato come principio cardine dello Stato.
Ma quel che caratterizza di più la sua presidenza è la violenza, feroce, scatenata nei confronti dei gruppi di estrema sinistra che Fujimori non esita a reprimere utilizzando squadroni della morte composti da mercenari e paramilitari. Come i massacri di Barrios Altos e La Cantuta, perpetrati nel 1991 e nel 1992 dal Gruppo Colina, un commando segreto responsabile di numerosi omicidi nell'ambito della lotta al terrorismo.
Arrestato nel 2007 dopo una fuga in Giappone e in Cile per un affare di corruzione, Fujimori viene accusato anche delle carneficine dei paramilitari. Al termine di un processo ritenuto esemplare, il tribunale di Lima ha stabilito che l'ex capo dello Stato non solo era a conoscenza dell'esistenza del Gruppo Colina, ma ne dirigeva le operazioni.
Tra i vari crimini contestati c’è il famigerato programma di pianificazioni familiari per ridurre la povertà che portò dal 1995 alla sterilizzazioni forzata di 270mila donne indios. Un crimine contro l’umanità che Fujimori non ha mai pagato perché la legge sull’amnistia ha mandato in prescrizione tutti i reati (anche quelli più gravi) commessi prima del 2002.
Condannato a 25 anni di carcere, ne ha scontati solo 16 perché molto anziano e malato. Ieri Alberto Fujimori è morto all’età di 86 anni nel suo letto. Per i suoi seguaci è stato un eroe, per le sue vittime uno dei più spietati dittatori nella storia del Sudamerica.