«Desideriamo sottolineare il nostro fermo rifiuto della pena di morte, una posizione che trova fondamento nei valori universali di dignità umana e giustizia. La condanna capitale rappresenta una sconfitta per tutta l’umanità, un fallimento nell’affermare il primato della vita».

È l’appello di oltre cento parlamentari italiani all’ambasciatore iraniano per salvare dal boia l’attivista curda Pakhshan Azizi, condannata a morte per “ribellione armata contro lo Stato”. L’iniziativa promossa dalla deputata dem e vicepresidente della commissione Esteri della Camera Lia Quartapelle raccoglie l’adesione bipartisan di senatore e deputati. In tutto 114 nomi, tra cui Elly Schlein, Nicola Fratoianni, Giulio Tremonti, Angelo Bonelli, Chiara Braga, Stefania Craxi, Riccardo Magi, Anna Rossomando e Devis Dori.

I quali, come lo stesso ministro degli Esteri Antonio Tajani, chiedono di revocare la condanna e liberare immediatamente l’attivista curda con «un atto di clemenza che possa rappresentare un segnale importante di apertura verso il dialogo e il rispetto dei diritti umani». Nella lettera si esprime profonda preoccupazione per le condizioni di detenzione di Azizi, prigioniera politica sottoposta a un processo «gravemente iniquo» e ristretta nel famigerato carcere di Evin a Teheran «in isolamento prolungato per cinque mesi senza poter parlare con un avvocato o con la sua famiglia». «Durante questo periodo, la donna è stata sottoposta a torture e altri maltrattamenti per costringerla a “confessare” legami con gruppi di opposizione curdi, legami che lei ha ripetutamente negato», si legge nell’appello che riporta anche la denuncia di Amnesty International.

Arrestata nell’agosto 2023 insieme al padre e alla sorella, Azizi è stata condannata all’impiccagione nel luglio 2024 per la sua attività come operatrice umanitaria nei campi profughi nel Nord della Siria a supporto delle vittime dell’Isis. Un’attività del tutto pacifica, ha spiegato il suo legale Amir Raeisiian, per il quale il processo si è svolto in spregio ad ogni regola del diritto, in mancanza di indagini e prove. Lo scorso 8 gennaio la Corte Suprema ha comunque confermato il verdetto, mentre la Ong Iran Human Rights condannava il boom di esecuzioni messe in atto dalla Repubblica islamica per soffocare il movimento “Donna, vita, libertà” esploso dopo la morte di Mahsa Amini.