Pare che Ryan Routh, l’uomo sospettato di voler assassinare Donald Trump al golf club di Miami , fosse un vecchio fan del tycoon è che sia rimasto “deluso” dalla sua presidenza al punto da considerarlo un pericolo per la democrazia.

Anche Thomas Matthew Crooks, il cecchino che lo scorso 13 luglio ha ferito Trump sul palco di Butler (Pennsylvania) oltre a essere un fanatico delle armi da fuoco era stato iscritto nelle liste elettorali repubblicane. Non sappiamo se abbiano voluto consumare una delirante vendetta politica o se si tratta solo di due delle tante schegge impazzite che vagano nell’America sommersa dalle armi da fuoco, pistoleri solitari e folli che avrebbero potuto colpire in una scuola, in un centro commerciale, in un raduno pubblico qualsiasi.

Di certo la campagna elettorale più polarizzata, mediatica e violenta della storia recente è un palcoscenico luminoso per questi anonimi aspiranti Oswald e macchiarla di sangue garantisce che il proprio nome venga scolpito nella storia.

Diversi analisti di area dem sostengono che il clima da guerra civile che accompagna lo scontro per la Casa Bianca sia stato alimentato dallo stesso Trump con i suoi ripetuti insulti agli avversari, la delegittimazione delle istituzioni, le fake news contro i migranti, il suo fomentare le ali più estremiste dell’elettorato come accadde con l’assalto a Capitol Hill del gennaio 2021. Insomma che in qualche modo i tentativi di assassinio che ha subito siano il frutto avvelenato della sua comunicazione violenta e senza regole che divide e incarognisce la società americana, quasi una nemesi.

Sarebbe però stupido e disonesto inquadrare gli attentati contro The Donald come una specie di regolamento di conti nella destra Usa, come una crisi di rigetto interna all’elettorato repubblicano.

Non è la prima volta è purtroppo non sarà l’ultima che la violenza e i fucili irrompono nella politica d’oltreoceano per mano di pazzoidi esaltati che cercano il loro cruento attimo di gloria. È l’eterno far -west di un Paese fondato con i fucili che non riesce a liberarsi della sua violenza ancestrale cristallizzata nella santificazione del quinto emendamento che sancisce il diritto a possedere un’arma. E praticamente mai chi preme il grilletto appartiene a un gruppo organizzato o persegue un preciso disegno destabilizzante. Impossibile assegnare un colore politico alla follia,

Da Abraham Lincoln a Donald Trump, passando per James Garfield William McKinley, i due Rossevelt, John Fritzgerald Kennedy, Gerald Ford e Ronald Reagan sono 16 i presidenti o i candidati alla presidenza vittime di attentati, quattro di loro sono stati uccisi, chi nell’esercizio delle proprie funzioni (Lincoln, Garfield, McKinley e Kennedy) chi durante la campagna elettorale (Bon Kennedy).

Sono scenari talmente radicati nell’immaginario collettivo statunitense da diventare uno stereotipo, un genere letterario. Chi non ricorda il disturbante Robert De Niro-Travis Bickle di Taxi driver che tenta di assassinare, per poi desistere, il senatore Charles Palantine durante un comizio? Bickle lo riteneva responsabile «dell’ipocrisia» della società americana ma lo sfondo mentale di quel tentato omicidio non è l’odio politico bensì la solitudine, l’alienazione personale che degenera in psicosi violenta.

Un profilo identico a quello di John Hinckley, il giovane appassionato di armi che nel marzo del 1981 ha ferito gravemente il presidente Reagan; dopo l’arresto si scopri che Hinkley, aveva sviluppato un’ossessione per l’attrice Jodie Foster (presente nel cast di Taxi driver) di cui era stato uno stalker.

Durante la fase preparatoria dell’attentato si registrava negli alberghi con il nome del giustiziere Travis Bickle; gli fu diagnosticato un disturbo narcisistico e schizotipico di personalità e depressione maggiore; non aveva avversione verso i repubblicani tanto che aveva seguito anche i movimenti del democratico Jimmy Carter. Un po’ come il killer di Butler Thomas Matthew Crooks il quale sul suo pc aveva cercato anche le date dei comizi di Joe Biden per poi ripiegare su Trump.