«Sono come vulcani spenti» commentò sconsolato un medico che tentava di guarire quei malati ancora vivi ma sprofondati in uno stato di totale apatia e prostrazione.

Erano stati colpiti dall’encefalite letargica, un virus misterioso che apparve in Europa e negli Stati Uniti intorno al 1916- 1917. Venne chiamata anche “malattia del sonno europeo”, in opposizione alla Trypanosomiasi africana, trasmessa dalla celebre mosca “tse- tse”. Il “paziente zero” è stato un sopravvissuto della battaglia di Verdun, ricoverato nel gennaio 1917 nella clinica Wagner- Jauregg di Vienna.

I malati mantenevano un barlume di lucidità, si ricordavano chi fossero e dove fossero ricoverati, ma in pratica trascorrevano le loro giornate dormendo. Si svegliavano per brevi periodi solo se sollecitati dagli infermieri, avrebbero potuto morire di inedia nel sonno.

La gran parte di loro non riuscì a sconfiggere il morbo che in pochi mesi compiva un decorso fatale. E anche chi sopravvisse restò per tutta la vita in uno stato di sopore e permanente astenia «simile a una statua». Alcuni di loro erano attraversati da continui tremori, altri ancora scivolarono verso la psicosi e la follia.

La gestione dei traumi post- encefalici era tutt’altro che facile e fino agli anni 60 non si trovarono terapie efficaci per alleviare la vita dei malati. La piaga durò circa dieci anni, uccise 5 milioni di persone e poi scomparve per sempre. Mai più nessuna epidemia, nessun focolaio soltanto qualche caso isolato.

L’encefalite letargica fu scoperta quasi contemporaneamente da due neurologi, il francese Jean- René Cruchet e l’austriaco Constantin von Economo e per questo nei manuali medici appare con il nome di Sindrome di von Economo- Cruchet. Entrambi descrivevano un «forte rigonfiamento delle pareti cerebrali che conduce a un profondo letargo».

Il virus però venne pressoché ignorato dall’opinione pubblica ma anche dalla comunità scientifica perché dalle trincee della Prima guerra mondiale arrivò l’Influenza spagnola, un flagello che portò all’altro mondo cinquanta milioni di persone ( ma secondo alcuni esperti potrebbero essere state il doppio).

La cause mediche della sindrome sono ancora incerte, avvolte da una nuvola di ipotesi e supposizioni: le più accreditate evocano un’origine autoimmune o comunque una reazione autoimmune a altre infezioni virali o batteriche, come per esempio l’influenza che si combina molto bene con le encefaliti. Si manifesta con una febbre molto alta che provoca in seguito cefalea, stati catatonici, l’inversione del ciclo sonno- veglia e persino la visione doppia nei casi più avanzati con l’inevitabile decorso verso la paralisi e il coma.

Di sicuro diversi sintomi sono molto somiglianti a quelli provocati dal morbo di Parkinson, ma il rapporto tra le due patologie è tutto da stabilire.

C’è anche chi ha supposto che la più celebre vittima dell’encefalite letargica fosse Adolf Hitler, che come è noto, negli ultimi anni di vita era percorso da bruschi tremori e aveva perso il controllo della mano sinistra; sarebbe stato in tal senso lo stato confusionale provocato dal morbo a spingerlo ad attaccacre la Russia nel 1941. Ma questa rimane poco più di una suggestione.

Nel 2010 la Oxford University press pubblicò un lungo articolo consacrato all’encefalite letargica definendola «il più grande enigma o medico del 20esimo Secolo», aggiungendo che. sostanzialmente, le conoscenze odierne non sono molto diverse da quelle che la medicina aveva negli anni 30, concludendo che l’eziologia e gli agenti causali del virus sono «ancora del tutto oscuri».

Gli epidemiologi, gli storici e anche gli scrittori si sono sbizzarriti nel ricercare la prima apparizione di questo misterioso virus. L’austriaca Laurie Winn Carlson ha avanzato una tesi affascinante: la malattia sarebbe nata in alcune comunità della Nuova Inghilterra intorno alla fine del 17esimo Secolo, il focolaio sarebbe stata la cittadina di Salem, teatro tra il 1692 e il 1693 nel più celebre processo alle “streghe” della storia americana, che portò all’esecuzione di 14 donne e sei uomini.

Una psicosi collettiva che individuò nei comportamenti “bislacchi” di diverse giovani donne affette da mutismo, allucinazioni, crisi psicotiche una chiara testimonianza di stregoneria.

Ecco cosa scrive Winn Carlson nel suo A fever of Salem: «Comparando i sintomi descritti dai coloni americani con quelli dei pazienti colpiti da enchephalitis lethargica all’inizio del 20esimo Secolo, una combinazione che accredita le ipotesi secondo cui la caccia alle streghe della Nuova Inghilterra fu una risposta ai comportamenti inesplicabili dovuti all’epidemia di encefalite».

Uno dei lavori più noti sull’argomento e senza dubbio Risvegli del neuropsichiatra newyorkese Oliver Sacks che, alla metà degli anni 60 prese in cura alcuni pazienti vittime del virus nell’ospedale Beth Abraham del Bronx. La vicenda è raccontata anche dall’omonimo film interpretato da Robert De Niro e Robin Williams.

Erano stati contagiati trenta anni prima e il loro stato vitale era poco più che vegetativo. Il dottor Sacks, oltre a utilizzare con profitto la musicoterapia, somministrò ai malati un farmaco che ebbe effetti davvero notevoli ( secondo alcuni «miracolosi» ), il L-Dopa ( o Levedopa), restituendo parzialmente alla vita quei “vulcani spenti”. Peraltro si tratta stesso che viene utilizzato per alleviare gli effetti del morbo di Parkinson, il che fornirebbe un’ulteriore prova della correlazione tra le due patologie.

Un autore che si è interessato agli effetti dell’encefalite letargica è il drammaturgo britannico Harold Pinter ( premio Nobel per la letteratura nel 1985) che nel 1982 mise in scena la pièce teatraleA Kind of Alaska interpretata da un’intensa Judy Dench, liberamente tratta proprio dall’opera di Sacks.

 

La pièce illumina la vita di Deborah, una donna affetta da encefalite letargica che si risveglia dopo 16 anni di coma, un risveglio brutale, non riconosce più il suo corpo, non riconosce più i suoi cari. Come le spiega il medico che l’ha curata: «La tua mente non è stata danneggiata, Era rimasta solo sospesa, aveva preso temporanea dimora in una specie di Alaska».