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Russia, Bielorussia, Turchia, Egitto. Sono solo alcuni Stati in cui i diritti umani vengono appallottolati e cestinati, mentre gli oppositori politici e i loro avvocati vengono processati con accuse motivate dall’esigenza di preservare la sicurezza nazionale.
L’esito dei processi è quasi sempre scontato con condanne al carcere che variano in base della gravità dei reati contestati.
Un’altra storia di soprusi, che si aggiunge alle tante che il nostro giornale ha raccontato, proviene dall’Egitto e riguarda l’avvocata sessantacinquenne Hoda Abdelmonem. Nel 2018 la professionista egiziana è stata condannata a cinque anni di carcere da un tribunale speciale, la Corte di sicurezza dello stato di emergenza. L’impegno di Abdelmonem in difesa dei diritti umani è stato scambiato dalle autorità egiziane come il tentativo di turbare la pace sociale e minare le fondamenta di un Paese non certo campione di democrazia. Il processo che ha riguardato l’avvocata, iscritta all’Ordine dal 1983 e premio “Human rights award” nel 2020 conferito dal Council of Bars and Law Societies of Europe, non ha tenuto conto delle garanzie minime riconosciute ad ogni imputato. Accuse inventate e diritto di difesa negato hanno caratterizzato l’intera vicenda giudiziaria, dando vita a un processo farsa. Basti pensare all’impossibilità di interloquire con i propri familiari e, soprattutto, con i difensori. Subito dopo l’arresto, il 1° novembre 2018, per ben tre settimane nessuno ha potuto avere notizie di Abdelmonem, nel frattempo rinchiusa nel carcere di massima sicurezza di Abbasiya.
Non solo colloqui negati con i difensori, ma anche l’impossibilità di curare varie patologie, tra cui una insufficienza renale, un’infezione ad un orecchio e un infarto. Ma non è finita qui. Nonostante la pena scontata per intero, Hoda Abdelmonem è ancora detenuta.
Nei suo confronti è stato aperto un nuovo procedimento con le stesse accuse (“appartenenza ad un’organizzazione terroristica” e “finanziamento del terrorismo”) che causarono il trasferimento in carcere sei anni fa. Un accanimento, come hanno rilevato diversi osservatori, realizzato dall’autorità giudiziaria ma ispirato dagli apparati di sicurezza che in Egitto si intromettono di continuo nella vita del Paese.
Per far conoscere il caso di Hoda Abdelmonem è partita una campagna di sensibilizzazione con il coinvolgimento di numerose organizzazioni forensi impegnate nella difesa dei diritti umani, compreso il CCBE ( il Consiglio degli Ordini forensi europei al quale
aderisce il Cnf).
È stato diffuso un appello, nell’ambito della campagna “FreeHoda”, in cui si condanna la prosecuzione della “detenzione arbitraria” di Abdelmonem, si denuncia la riproposizione delle stesse accuse degli anni scorsi, che hanno portato alla condanna – già scontata - a cinque anni di carcere, e si chiede l’immediato rilascio dell’avvocata egiziana considerate le precarie condizioni di salute, peggiorate durante la permanenza dietro le sbarre.
«La detenzione continuata di Abdelmonem per oltre un anno, dopo la scadenza della sua condanna – si legge nell’appello -, insieme alla detenzione di Alaa Abdel Fattah, costituiscono palesi violazioni dello Stato di diritto in Egitto e riflettono l’interferenza dell’apparato di sicurezza negli affari giudiziari. Queste violazioni contro i difensori dei diritti umani coincidono con la firma quest’anno di una nuova partnership strategica tra l’Unione Europea e l’Egitto, comprendente promesse di un sostanziale sostegno finanziario, nonostante l’insufficiente attenzione verso il deterioramento della situazione dei diritti umani e la loro crescente repressione in Egitto. Ciò sembra dare al regime il via libera per continuare a perseguire gli oppositori politici. In questo contesto chiediamo il rilascio immediato e incondizionato dell'avvocato e difensore dei diritti umani Hoda Abdelmonem e l’abbandono delle nuove accuse, da considerarsi inventate».
Tra i firmatari dell’appello troviamo Lawyers for Lawyers, MENARights Group, Middle East Democracy Center, EuroMed Rights e Cairo Institute for Human Rights Studies ( CIHRS).
La vicenda di Hoda Abdelmonem richiama il caso giudiziario dell’avvocato Ibrahim Metwally, arrestato il 10 settembre 2017 poco prima di raggiungere Ginevra.
In Svizzera avrebbe dovuto partecipare a un incontro con il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni degli oppositori politici e dei loro familiari. Metwally è tuttora in carcere; è stato l’avvocato della famiglia di Giulio Regeni, ucciso in Egitto nel 2016. L’autorità giudiziaria ha accusato Metwally per aver costituito e guidato un gruppo ritenuto sovversivo, per aver diffuso notizie false e comunicato con organizzazioni straniere ritenute ostili.
Sulle difficili condizioni in cui sono costretti a lavorare gli avvocati egiziani si sono concentrate nei mesi scorsi le attenzioni dei Relatori speciali delle Nazioni Unite, impegnati a monitorare la situazione dei difensori dei diritti umani, l’indipendenza dei legali e dei giudici, senza tralasciare la difesa del diritto alla libertà di opinione e di espressione.