PHOTO
Una legge ci vuole: il governo ne è convinto. I Consigli giudiziari non dovrebbero restare così come sono, lo ripete da tempo il guardasigilli Andrea Orlando e ha detto di esserne persuaso anche il premier Matteo Renzi. Nell'incontro che hanno avuto lunedì scorso con il presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin, presidente del Consiglio e ministro hanno confermato di voler presentare un disegno di legge per dare agli avvocati il diritto di voto negli organismi distrettuali. L'obiettivo è offrire un contributo alternativo alle valutazioni sui magistrati: sia a quelle che servono per determinare il diritto agli scatti di carriera quadriennali, sia ai "pareri" preparati per assegnare gli incarichi direttivi.Toghe bocciate? Zero su duemilaSulla materia si scontrano due opposte visioni. Ieri il Fatto quotidiano è tornato a parlarne, sempre nella rubrica dell'ex procuratore aggiunto di Torino Bruno Tinti che ha fatto l'equilibrista sull'orlo dell'insulto all'intera classe forense: il sistema per valutare i giudici è, secondo lui, «squallido e clientelare» tanto che se «si riuscissero a trovare le prove» sarebbero «all'ordine del giorno» le «imputazioni per abuso in atti di ufficio» da parte dei membri del Csm e dei Consigli giudiziari, in quest'ultimo caso tutti togati; ma proprio alla luce di questo, conclude l'editorialista, «davvero si vuole innestarvi anche l'inquinamento avvocatizio? ». Siamo alle palle di fango tirate in piena faccia con sbrigativo disprezzo. Ma anche dal fronte opposto si rischia facilmente di scivolare in argomentazioni di eguale perfidia. Soprattutto sulle valutazioni di professionalità ai fini degli scatti di carriera. È vero, sono praticamente tutte proiettate verso l'empireo della perfezione. Al convegno sulla giustizia organizzato due giorni fa dall'associazione radicale "La Marianna", l'avvocato torinese Fabio Ghiberti ha sciorinato le statistiche della consiliatura 2006-2010 di Palazzo dei Marescialli: «Un'analisi sui verbali del primo biennio fa emergere che su 2.409 valutazioni di professionalità neppure una è negativa, solo 3 magistrati non ricevono valutazioni positive: parliamo di poco più dello 0,1%, e non è che nel frattempo le percentuali siano cambiate». No, non lo sono e lo si ricava da quanto spiega Maria Elisabetta Alberti Casellati, laica di centrodestra del Csm e vicepresidente proprio della quarta commissione, preposta appunto a valutare il merito dei giudici: «Il parere di base arriva dai Consigli giudiziari: nel 90% abbondante dei casi ci troviamo di fronte a giudizi positivi, senza ombre e approvati all'unanimità, e su quelli non facciamo approfondimenti».Metodi "aziendali" sgraditi ai giudiciSarebbe illusorio pretendere il contrario: non esiste comparto della pubblica amministrazione in cui i dipendenti facciano licenziare o comunque perdere parte dello stipendio a un collega, se non in casi di procedimenti disciplinari gravi, non si capisce perché lo si dovrebbe chiedere ai magistrati. Il tema vero è quello dei "voti" che i capi degli uffici e i Consigli giudiziari danno alle toghe in lizza per incarichi dirigenziali. Anche lì tutti tendenti almeno all'ottimo, ed è questo il passaggio che crea più problemi al Csm, chiamato a scegliere chi promuovere, e allo stesso ministro della Giustizia, che sulle candidature esprime un "concerto". Tra i parametri c'è l'attitudine al comando: andrebbe valutata con criteri "aziendali". Secondo Mario Barbuto, fino a pochi mesi fa capo del dipartimento Organizzazione giudiziaria del ministero, il problema è che la capacità organizzativa è solo uno tra i moltissimi parametri utilizzati dai Consigli giudiziari, e alla fine si disperde tra molte atre qualità più o meno utili per dirigere un ufficio.Nella selezione dei futuri procuratori capo o presidenti di Corte d'Appello, insomma, non c'è alcuna scientificità di tipo aziendale. C'è negli ospedali ma non nei Palazzi di giustizia. È vero che il Csm ha adottato un Testo unico proprio per fissare i criteri di scelta sui direttivi, ma è anche vero che se nei pareri di base, quelli dei Consigli giudiziari appunto, la capacità organizzativa è dissolta in un mare di altre valutazioni, neppure a Palazzo dei Marescialli si riuscirà a distinguere chi davvero sa coordinare il lavoro degli altri. E di fronte a questa inafferrabile approssimazione, molti giudici resistono ancora al contributo degli avvocati negli organismi distrettuali. Che offrirebbero di sicuro la variabile della concreterzza alla fissità di pagelle tutte spinte verso una generalizzata eccellenza.