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Era da tempo che la Mostra del cinema di Venezia non sceglieva un film europeo, intimo e indipendente per iniziare la sua corsa e invece l’edizione 76 viene inaugurata dal giapponese Kore- eda Hirokazu e il suo delicato e familiare La Vérité - The Truth, primo film girato in lingua francese e inglese del regista palma d’Oro a Cannes. Ha scritto, diretto, montato e concepito questa “verità”, Kore- eda, con l’intento chiaro di esplorare il vero significato di ciò che di noi confessiamo al mondo, al pubblico, alle persone care. Catherine Deneuve interpreta Fabienne, una star del cinema francese che ha da poco pubblicato un libro di memorie e che per l’occasione riceve la visita della figlia sceneggiatrice Lumir ( Juliette Binoche), direttamente da New York con marito attore ( Ethan Hawke) e la loro figlioletta Charlotte. In quel libro non c’è traccia di molte cose che fanno parte dei ricordi di Lumir mentre ci sono momenti mai vissuti da lei e la madre, lì per abbellire, rendere apparentemente interessante o più coinvolgente una vita vissuta con il fuoco sulla carriera più di ogni altra cosa.
Tratto da una pièce teatrale scritta dallo stesso regista, è diventata un film grazie innanzitutto all’incontro con Juliette Binoche: «All’inizio si trattava di una storia che aveva come ambientazione solo un camerino. La produzione si è mossa grazie all’intervento di Juliette Binoche che nel 2011 mi ha chiesto se volessi fare un film insieme a lei», racconta Kore- eda e aggiunge: «Non sapevamo se avremmo girato in Giappone o altrove. Era tutto un po’ vago. Ho pensato che sarebbe stato interessante girare in Francia, con attrici che rappresentavano la storia della cinematografia francese. Così ho deciso di cambiare la sceneggiatura creando una storia tra madre e figlia. I cambiamenti li ho fatti dopo aver incontrato Binoche e Deneuve».
Dell’incontro con il regista e il sogno di lavorare con lui e Catherine Deneuve parla Juliette Binoche: «Sognavo da 14 anni di incontrare Kore- eda e girare con lui, siamo stati insieme a Kyoto, luogo di condivisione tra noi e il fatto di trovarmi in un suo film rappresenta la realizzazione di tutti i miei sogni. Ero piccola poi quando mi innamorai di Catherine, simbolo di femminilità e questo film rappresenta un futuro reale per me e una consacrazione viva e preziosa».
La diva Fabienne e la sua attrice Catherine Deneuve hanno evidentemente molto in comune, lo si vede nella naturalezza con cui l’icona del cinema francese veste i panni di questa madre vanesia, celebre e sensibile. Lo conferma Catherine Deneuve che di lei ha donato tanto al suo personaggio: «Metto sempre nei miei personaggi quello che sono come persona e come donna. Il personaggio rappresenta molto me stessa, ho avuto la sensazione di interpretare un ruolo che definirei appunto di composizione, era interessante per me interpretare un’attrice perché capisco bene questa donna». Kore- eda già nelle prime scene, ci costringe a chiederci: «Scrivere un libro di memorie significa dire la verità assoluta o la nostra verità? Quale la differenza tra le due?». Una casa che sembra un castello ( così la vede la piccola Charlotte), una nonna che potrebbe essere una strega che trasforma i cattivi in animali e tutto un mondo in equilibrio tra non detti e il dubbio costante sul se si sia di fronte ad una sceneggiatura o la vita reale.
La poesia nel cinema è necessaria dice Fabienne e sembra dar voce al pensiero del regista che alla poetica in generale ed alla sua in particolare sembra non voler mai rinunciare. Come in Father and Son e Un Affare di famiglia, i rapporti familiari sono sempre al centro dei film del regista giapponese. Nel descrivere in particolare questa famiglia analizzata in La Vérité, Kore- eda dichiara: «Per quello che riguarda questo film, ci sono elementi del dramma familiare ma in realtà la definirei più una storia tra una madre e una figlia che semplicemente hanno la loro esistenza e cercano di andare avanti insieme accettandosi l’una con l’altra».
Nonostante i toni poetici del film di apertura, l’incontro tra la stampa e le giurie del Concorso, Orizzonti, Opere prime e Venezia Classici rappresentate dai loro presidenti, rispettivamente la regista Lucrecia Martel, Susanna Nicchiarelli, Emir Kusturica e Costanza Quatriglio, ha preso da subito dei toni molto accesi, appena l’inevitabile domanda sul caso Polanski presente alla Mostra in concorso con J’accuse, è saltata fuori. In disaccordo con il direttore artistico Alberto Barbera sul dover separare l’uomo dall’artista Lucrecia Martel, che in Argentina si batte per i diritti della donne, ha accettato di giudicarlo solo informandosi meglio sul caso giudiziario che lo ha coinvolto: «Quando ho saputo della presenza di Polanski, ho voluto indagare e consultare scrittori per farmi un'idea e ho visto che la vittima ha considerato il caso chiuso non negando i fatti, ma dicendo che in qualche modo il regista aveva pagato a sufficienza per il suo crimine. Se lei ritiene che la cosa sia chiusa, io non posso occuparmi della questione giudiziaria ma posso semplicemente solidarizzare con la vittima», dichiara. E su quest’ultimo punto aggiunge: «Rappresento donne nel mio Paese che sono vittime di questo tipo di abusi ma su questo tema c'è un dibattito e quale miglior luogo se non un festival, per il confronto?».
Sulle quote rosa invece c’è più accordo tra i giurati e il Festival: per Susanna Nicchiarelli e Alberto Barbera è un sì ma a patto che siano introdotte solo nelle scuole e nell’accesso ai fondi per la produzione e lo sviluppo di opere e non nei Festival. Per Lucrecia Martel invece sono spiacevoli ma necessarie in qualsiasi ambito, per supportare la transizione verso la piena parità di genere. Venezia 76 non sarà iniziato nello splendore di Hollywood ma certamente ha fatto già tanto parlare di sé e la presenza di divi come Brad Pitt e Scarlett Johansson farà il resto già dal secondo giorno.