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Sardine alla prova non solo della più iconica piazza della sinistra, ma anche del primo scivolone mediatico. A commetterlo, invista della manifestazione del 14 dicembre in piazza San Giovanni, è il leader del movimento romano, il quarantacinquenne giornalista di origine kenyota Stephen Ogongo ( fondatore del movimento ' Cara Italia', che si batte per lo ius soli), che regala al Fatto Quotidiano la dichiarazione incendiaria: «Per ora in piazza è ammesso chiunque, pure uno di Casapound va benissimo. Basta che in piazza scenda come sardina». E l’incendio si propaga velocemente, spinto dal vento dei social in cui la frase rimbalza di bacheca in bacheca e dalla volpesca reazione di Casapound, che subodora il caso e non si fa scappare l’occasione: «Andremo in piazza senza bandiere ma con le nostre i dee. E Bella Ciao non la cantiamo», ha detto il leader delle tartarughe, Simone De Stefano. A poco è servita la smentita successiva degli altri organizzatori delle sardine romane: «Non possiamo chiedere ad ognuno dei partecipanti alla nostra piazza la fede politica, è una piazza libera ed accogliente, non mettiamo paletti, non cacciamo nessuno. Ma allo stesso tempo fin da Bologna è stata definita una linea netta di demarcazione tra chi crede nei valori della democrazia, dell’uguaglianza, del rispetto e dell’antifascismo e chi invece viene da un passato e un presente che dimostra tutt’altro». Per questo, dopo poche ore è arrivato l’intervento decisamente più netto dei quattro organizzatori della prima manifestazione di Bologna sulla pagina ufficiale “6000 sardine”, che hanno definito quella di Ogongo «una ingenuità» e hanno continuato: «Ci dispiace che il concetto di apertura delle piazze sia stato travisato e strumentalizzato, ma non stupisce. In questo momento le piazze fanno gola a molti, lo avevamo già detto e lo ripetiamo. Rammarica che questo fraintendimento sia cavalcato da più parti. Ma è giusto dare una risposta netta. Le sardine sono antifasciste», di conseguenza «nessuna apertura a Casapound e a Forza Nuova, nè ora nè mai». Firmato «Andrea, Giulia, Mattia, Roberto e tutte le sardine». L’opera di ridimensionamento della polemica è cominciata, ma la macchia ormai è fatta e rischia di allontanare da San Giovanni più di qualche potenziale sardina, almeno stando agli annunci sempre sui social. Ilneonato movimento, tuttavia, è scivolato sulla buccia di banana più vecchia del mondo: la difficoltà di dare una definizione e dei portavoce a un fenomeno spontaneo. Del resto, era solo una questione di tempo. La forza della piazza è orizzontale e dirompente, una sardina è uguale all’altra e tutte sono animate dalla stessa bella voce nel cantare Bella ciao e le melodie evocative del cantautorato italiano, da De Andrè a Genova a Gaber a Trento. Tutte poi sono salde nello spiegare il loro essere lì contro il sovranismo, il populismo, le fakenews e la politica dell’odio. Quando si tratta di mettere i paletti alla partecipazione e di escludere dalla piazza qualcuno non perchè ostenta bandiere di partito ma perchè, anche senza insegne, rappresenta idee estreme, però, serve un passo in più. E si tratta di un passo tanto più difficile quando manca una vera e propria cabina di regia, che sia assuma questo tipo di decisione e sia legittimata nel farlo. Proprio in questa mancanza di assetto e nell’ingenuità comunicativa si è incuneata Casapound e le sardine sono state costrette a recuperare in affanno. Su una questione macroscopica come la diatriba fascismo- antifascismo raddrizzare il tiro è stato tutto sommato facile, anche grazie all’esempio e ai toni delle piazze che hanno preceduto quella di Roma. Più difficile sarà in futuro, proprio come lo sarà trovare la strada per un movimento che oggi prospera nella sua trasversalità ma proprio per questo si troverà davanti sempre nuovi bivi.