Le immagini che arrivano dalla Siria appena liberata dal regime di Bashar al Assad, fuggito a Mosca, mostrano un paese che festeggia dopo anni di terrore e guerra civile. Folle in strada non solo a Damasco ma anche nelle altre principali città. Non mancano il disordine e i saccheggi, certo, ma anche speranze per un futuro che comunque si mostra più che incerto. Nella capitale in questi concitati momenti moltissime persone si stanno radunando dove la repressione era tangibile e ben conosciuta, il carcere di Saydnaya.

Qui, e non solo, si dispiegava l'universo concentrazionario caratterizzato da detenuti scomparsi e il sistematico uso della tortura. Le voci, che non sono state però confermate da prove tangibili al momento, parlano di celle sotterranee dove i detenuti venivano praticamente sepolti vivi. I video mostrano persone disperate in attesa di informazioni mentre gli investigatori sono alla ricerca frenetica di camere d'orrore nascoste. Le squadre utilizzano sonde sonore e attrezzature usate dopo i terremoti, nonché squadre cinofile con cani addestrati.

Tutto ciò nonostante il gruppo Association of Detainees & The Missing in Sednaya Prison (ADMSP) e i Caschi Bianchi siriani insistono sul fatto che non ci sono più detenuti nella prigione. Rimane il fatto tragico, avvalorato dalle testimonianze di prigionieri evasi da Saydnaya, che come riporta anche Amnesty International, si trattasse di un luogo paragonabile a una macelleria umana. I dati stimano che più di 30mila persone siano state giustiziate o siano morte tra il 2011 e il 2018.

Secondo Raed al- Saleh, il capo della protezione civile siriana, nota appunto come Caschi Bianchi, le prigioni gestite dal governo di al- Assad sembravano «mattatoi dove le persone venivano torturate e massacrate. Le parole non possono descrivere la realtà, era un inferno la vita dentro queste prigioni. La tortura fisica nelle carceri era enorme sotto la supervisione degli ufficiali dell'intelligence».

E già nel 2016 era emerso il livello orrorifico di ciò che succedeva. Un ex ufficiale della Polizia Militare siriana, fuggito dal paese nel 2014, nome in codice Cesar, aveva salvato e portato con se archivio fotografico composto da circa 50mila scatti, devastanti, 28mila dei quali ritraevano cadaveri. La documentazione che provava la morte e le torture subite dai detenuti nelle carceri di Bashar al- Assad.

Il lavoro di Cesar consisteva nell’andare negli ospedali militari dopo ogni fatto grave o incidente e fare le foto, presentando un rapporto per la polizia. Nell’aprile del 2011, quindi, quando per stessa ammissione del presidente la rivolta in Siria era ancora pacifica, gli fu chiesto di recarsi presso un ospedale a Damasco e lì vide 50 cadaveri che a lui apparvero come di civili con dei chiari segni di tortura. Caesar rimane talmente turbato che immediatamente mostro la volontà di fuggire dal paese, anche se dovette attendere in Siria per altri due anni, continuando a fotografare e conservando con grande rischio le immagini per poterle mostrare al mondo.

Un'altra importante testimonianza, che si può leggere nel libro La Conchiglia, è quella di Mustafa Khalifa, uno studente che nei primi anni ottanta (all'epoca di Assad padre) era a Parigi ma una volta tornato in Siria venne immediatamente arrestato perché ritenuto appartenente ai Fratelli Musulmani. Trascorrerà da quel momento ben tredici anni, tre mesi e tredici giorni nelle carceri del regime. Una volta arrestato Khalifa viene condotto alla sede dei servizi segreti. Qui inizia l'interrogatorio a base di botte, torture che gli scorticano le carni. A niente è valsa la sua difesa di essere non solo cristiano ma anche ateo. Mustafa viene internato nel carcere di Tadmur a Palmira, qui la famiglia Assad ha costruito un altro luogo infernale. Khalifa, nel suo libro racconta nei minimi dettagli le violenze subite non solo da lui ma anche quelle sugli altri prigionieri che ha potuto testimoniare. Il racconto è da brividi: una cella di soli venticinque metri insieme a molti altri malcapitati trattati come bestie.

Un viaggio attraverso un universo di esecuzioni, torture e ogni altro genere di vessazioni. L'impianto sul quale si è retto il potere degli Assad che oggi è tramontato ma che ha lasciato cicatrici indelebili nell'animo di un paese ancora in bilico sul baratro di una nuova possibile guerra.