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Insomma, in uno scenario degno del miglior Gianfranco Rosi di Mani sulla città, nell’inchiesta “stadiopoli” dei pm romani non manca quasi nulla. C’è solo una cosa che non si riesce a trovare, a mettere a fuoco: la famosa pistola fumante, la prova provata della corruzione. E’ chiaro che chiunque mastichi un po’ di diritto sa che la prova prende forma in dibattimento.
Dunque il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo, lo stesso che ha combattuto e perso nel processo Mafia capitale, avrà modo e tempo di mostrare ai giudici, imputati e pubblica opinione quale sia la prova madre dell’inchiesta “stadiopoli” e come si concretizzi quel «sistema pulviscolare» che, come un «crescendo rossiniano» ( parole dei pm) ha infettato Roma.
Perché scorrendo tra le centinaia di pagine dell’ordinanza, non è chiarissimo quale sia il centro del sistema corruttivo. Si parla di passaggi di soldi: ma tutti bonificati e rendicontati: e di certo sarebbe la prima volta di mazzette via Iban. E se davvero fosse così, altro che Gianfranco Rosi: ci troveremmo dentro I soliti ignoti di Monicelli.
L’altro capitolo riguarda i favori: posti di lavoro promessi per amici e congiunti ma, tranne nel caso del figlio dell’ex assessore Civita, niente più che promesse.
In ogni caso, come in tutti i “film” politico- giudiziari degli ultimi anni, tutto ha inizio con un’intercettazione. Nel foglio numero 9 dell’ordinanza viene infatti riportato il colloquio tra Luca Parnasi, il centro del “sistema pulviscolare”, e il suo collaboratore Gianluca Talone: «Io - spiega Parnasi - spenderò qualche soldo sulle elezioni. È un investimento che devo fare, molto moderato rispetto a quanto facevo in passato, quando ho speso cifre che manco te lo racconto”. Non solo, gli stessi pm sono costretti ad ammettere ( foglio numero 11) che i “finanziamenti talvolta hanno natura lecita».
Poi c’è la politica. Il primo obiettivo è il capogruppo 5Stelle in Campidoglio Paolo Ferrara. Il consigliere grillino che aveva un posto nel tavolo per l’approvazione dello Stadio, avrebbe “ricevuto”, non soldi, ma un progetto di restyling per il lungomare di Ostia. Il che lascerebbe pensare che “il Ferrara” abbia aziende a cui affidare l’eventuale appalto. Macché, Ferrara non ha niente di niente ma i magistrati sanno bene che il solo nome di Ostia evoca alla mente dell’opinione pubblica il clan Fasciani e quello degli Spada, che peraltro sono tutti in “gattabuia”.
D’un tratto, e non si sa bene come e perché, tra le pagine dell’ordinanza spunta anche il nome di Roberta Lombardi, un pezzo grosso dei 5Stelle. Un nome speso dai pm per mettere il luce il livello di pervasività «del Parnasi». Ma nelle carte non emerge nulla di illecito: se non un incontro - che sarà il primo e l’ultimo - avvenuto in Parlamento. Ma per i pm tanto basta a classificarlo come «attività di promozione in favore del candidato alla Regione, Roberta Lombardi».
Ma anche qui, ovviamente, non c’è neanche l’ombra di una mazzetta. E in questo caso neanche di un “restyling”.
Poi c’è il lungo capitolo del persidente dell’Acea Lanzalone, l’uomo della Casaleggio, il bersaglio grosso della procura. Secondo i pm Lanzalone «svolgeva le funzioni di assessore per lo stadio».
E nell’ordinanza il gip va oltre: «Le indagini hanno offerto elementi concreti per ritenere che le figure istituzionali interessate, a cominciare dal sindaco Raggi, non solo hanno tollerato tale funzione di fatto esercitata, ma al contrario le hanno dato piena legittimazione».
Insomma, Lanzalone, nel disegno dei pm, è l’uomo che conduce alla sindaca Raggi, la quale, sempre secondo i pm, era a conoscenza del “sistema pulviscolare”. Infine c’è la questione Lega. Anche qui la posizione dei pm non è chiarissima.
Si parla di un finanziamento all’associazione “Più voci”, vicina al Carroccio. Ma qui i pm, almeno per il momento, si limitano alla censura morale.
Insomma, l’unica, evidente pistola fumante emerge dalla penosa vicenda dell’ex assessore regionale Michele Civita il quale, senza più lo straccio di una poltrona, chiede e ( forse) ottiene da Parnasi un posto di lavoro per il figlio disoccupato. E qui si staglia il faccione grottesco di Alberto Sordi nella commedia all'italiana. Altro che Mani sulla città.