PHOTO
Entrandovi, si respira il clima di familiarità di sempre. Manifesti, opuscoli e brochure informative tappezzano ordinatamente i muri e, in un maggio insolitamente fresco, il giardino interno della Casa Internazionale delle Donne è già fiorito. Il fermento, però, è nell’aria: attiviste storiche, donne delle tante realtà associative che hanno nella sede del Buon Pastore un punto d’incontro e altrettante donne che qui hanno trovato l’aiuto e il sostegno di una comunità sono tutte mobilitate per un’assemblea pubblica, in cui spiegare perchè si rischia la chiusura e come continuare a combattere la battaglia per evitarlo. Una mozione firmata da una donna - Gemma Guerrini del Movimento 5 Stelle -, infatti, rischia di cancellare più di trent’anni di storia dei movimenti femministi romani e la Casa Internazionale delle Donne, che dal 1987 ha la sua sede nell’ex reclusorio seicentesco del Buon Pastore ( in via della Lungara, a due passi dal cuore di Trastevere), rischia di sparire in modo definitivo. Il braccio di ferro tra Giunta e associazioni che animano la struttura rischia di arrivare alle battute finali: giovedì, in una sala Giulio Cesare invasa dalle grida delle attiviste e nonostante le richieste di rinvio da parte delle opposizioni, l’Assemblea Capitolina ha approvato con 27 voti favorevoli la mozione 5 Stelle ( che ha provocato anche dissidi all’interno della maggioranza di Virginia Raggi) che impegna «la Sindaca e la Giunta a riallineare e a promuovere il progetto Casa Internazionale della Donna alle moderne esigenze dell’Amministrazione e della cittadinanza, attraverso la creazione di un centro di coordinamento gestito da Roma Capitale e prevedendo con appositi bandi il coinvolgimento delle associazioni». Nella sostanza, azzerare un’esperienza virtuosa che è stata punto di riferimento per le donne della Capitale o, nella migliore delle ipotesi, sfigurarne il volto ( Guerrini ha chiesto di porre la Casa «sotto controllo politico. Oggi la politica può riappropriarsi delle sue responsabilità. Chiediamo di valutare la creazione all’interno del complesso del Buon Pastore di un centro di coordinamento gestito da Roma Capitale dei servizi per il sociale e le pari opportunità diffusi, e di prevedere il coinvolgimento delle realtà associative mediante appositi bandi» ). Una scelta, quella della maggioranza 5 stelle, che stoppa il tentativo di mediazione di un tavolo di confronto che ha smesso di essere convocato e che - denunciano le dirette interessate - è stata presa impedendo un intervento in consiglio comunale di una rappresentante della Casa e negando all’opposizione la documentazione e il diritto di replica. Al centro della disputa tra Campidoglio e attiviste, c’è l’edificio del Buon Pastore. Proprio lo stabile è parte integrante della storia dei collettivi femministi romani: sul finire degli anni Ottanta, infatti, il movimento delle donne occupò ( dopo una breve parentesi di 4 anni in un altro palazzo abbandonato, in via del Governo Vecchio) l’edificio pericolante e in stato di abbandono, ristrutturandolo e gestendolo, fino a lavorare per una convenzione con le Giunte cittadine per il pagamento di un affitto, accollandosi spese e utenze. Dopo anni di trattative, la questione stava per concludersi con un piano di rientro per regolarizzare le morosità, fino a quando la Giunta Raggi non ha inaspettatamente inasprito i toni. Il Comune ritiene di vantare un credito per gli affitti mai versati di circa 800 mila euro e lo scorso novembre ha inviato un’ingiunzione di pagamento. Le donne hanno documentato «i crediti che la Casa ha accumulato in anni di manutenzione di un edificio del ‘ 600, in anni di prestazione di servizi sociali e culturali, e un piano di rientro ragionevole e sostenibile» che però non è stato proposto. Una disputa che rischia di concludersi nel peggiore dei modi e per cui le rappresentanti della Casa hanno indetto ieri una manifestazione aperta ai cittadini e lunedì una conferenza stampa in Senato e un presidio in Capidoglio. Intanto, continua la mobilitazione da parte del Pd e di Liberi e Uguali, insieme a moltissime associazioni capitoline e anche semplici cittadini. Ieri, dalle finestre del bel palazzo d’angolo che ospita un viavai continuo, hanno sventolato striscioni contro la chiusura. Le donne all’interno lavorano ininterrottamente: chi telefona, chi discute e organizza presidi, chi continua con le sue attività quotidiane di servizio, perchè queste non possono fermarsi, altrimenti si perderebbe il senso stesso della mobilitazione. Lo spirito, però, è quello combattivo che ha caratterizzato le tante generazioni di donne che al Buon Pastore hanno trovato casa per i loro progetti ma anche aiuto nelle difficoltà: nel corso degli anni, infatti, le attiviste hanno attrezzato un consultorio, un centro antiviolenza che offre assistenza psicologica e legale, un servizio di consulenza lavorativa, un auditorium, una biblioteca, un caffè e sale a disposizione delle associazioni. Oggi, tutto questo però rischia di non bastare, risucchiato dalla pervicacia ragionieristica con cui il Movimento 5 Stelle capitolino ha deciso di procedere alla liquidazione di un pezzo di storia della città.