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Si allargano a macchia d’olio le rivolte nelle carceri per l’epidemia di Coronavrus. Dopo il carcere di Salerno, è la volta del carcere di Sant’Anna di Modena. In questo momento c’è una pesante rivolta in corso. I detenuti hanno appiccato il fuoco tentando la fuga e dalla prigione si leva infatti un denso fumo nero. In questo momento sono accorse sul posto numerose forze dell'ordine. Per sedare la rivolta sono stati chiamati anche agenti liberi dal servizio. Tanti sono i detenuti e numerosi sarebbero i danni. Il motivo, secondo quanto trapela, non riguarda solamente il discorso del divieto dei colloqui dal vivo con i familiari, ma la paura – da parte dei detenuti – di essere contagiati dal virus. L’aria all’interno delle carceri si fa sempre più pesante. Stessa identica situazione riguarda il carcere di Frosinone. Dalle 13 di oggi nel penitenziario di via Cerreto è infatti scoppiato il caos. Inizialmente ci sono stati incendi all’interno delle celle e pare che ci sia stato un tentativo di evasione. La direzione del carcere ha richiamato il personale a riposo o in ferie per far fronte alle proteste. Anche in questo caso la rivolta è scoppiata soprattutto per le questioni legate alle misure di sicurezza per il coronavirus. «La protesta va avanti, sono circa un centinaio i detenuti che hanno occupato la seconda sezione, e sono barricati dentro. Hanno un elenco di richieste che partono dalla questione dei colloqui. Per il momento siamo in fase di attesa. Qui c'è anche il provveditore, non si vuole fare alcuna azione di forza per non creare tensioni. Siamo in trattativa», riferisce il garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia che è giunto sul posto. «Tra le richieste dei carcerati di Frosinone ci sono anche istanze "che hanno a che fare con il funzionamento dell'istituto, come l'assistenza sanitaria e la fatiscenza delle strutture. Sono cose vere, ma non si possono risolvere certo questo pomeriggio. Bisogna convincerli che di queste cose si terrà conto, l'amministrazione penitenziaria farà la sua parte ma intanto non ha senso continuare a mantenere questa occupazione. Non ci sono stati problemi o casi di difficoltà, o conflitto o violenza con il personale - ha aggiunto il garante - Da questo punto di vista la situazione è relativamente pacifica. C'è del fumo, per questo si immagina che la condizione delle sezioni sia danneggiata. Si vedrà più avanti». Nel frattempo è scoppiata nuovamente la protesta al carcere di Poggioreale. Ieri, dopo un po’ di tensione, la situazione si era tranquillizzata. Ma è stata apparente. In questo momento decine di detenuti sono saliti sui muri e hanno bruciato materassi chiedendo provvedimenti contro il rischio dei contagi dal Coronavirus all'interno della struttura. Sono giunte ambulanze e camionette della polizia per far fronte alla rivolta e alle possibili conseguenze. In questo momento i detenuti sono ancora sui tetti di alcuni padiglioni. Battitura in tutto l'istituto. Sono accorsi i parenti che assediano l'esterno, con blocchi stradali all'ingresso e cori in sostegno ai detenuti lato piazzale cenni. Rita Bernardini del Partito Radicale commenta a Il Dubbio che queste rivolte sono controproducenti per gli stessi detenuti, perché alcune sigle di polizia penitenziaria potrebbero prendere al volo nuovamente la proposta di ricambiare l’assetto gerarchico degli agenti penitenziari e prendere più poteri decisionali rispetto ai direttori delle carceri. «Tra l’altro – aggiunge Rita Bernardini – se il governo dovesse realizzare un decreto legge che implementi le misure alternative per far fronte all’emergenza coronavirus e alleggerire le carceri che sono sovraffollate, i detenuti coinvolti nella rivolta non ne usufruirebbero». C’è il parlamentare della Lega Jacopo Morrone che invita infatti a concedere temporaneamente più poteri decisionali ai comandati di reparto. Ma non solo. Vuole che venga bloccata la vigilanza dinamica. «Parliamo di una proposta assurda – tuona sempre Rita Bernardini -. Non far uscire dalle celle proprio ora i detenuti che già non possono ricevere visite o usufruire della semilibertà per via dell’emergenza coronavirus, vuol dire aumentare ancora di più la tensione». Interviene anche Gennarino De Fazio, per la UilPa Polizia Penitenziaria nazionale. «Sono momenti drammatici e convulsi - spiega - nei quali da donne e uomini di Stato pensiamo per prima cosa a difendere le istituzioni democratiche e la sicurezza dei cittadini, dunque abbiamo notizie del tutto parziali e frammentarie, ma univoche nel raccontare gravi tensioni e disordini in molti istituti penitenziari del Paese. Solo ieri sera, da ultimo, avevamo detto che le carceri finiranno per essere il banco di prova finale del governo, anche perché nessuno che conosca il carcere poteva non sapere quello che si sarebbe verificato». Il rappresentante del sindacato UilPa sottolinea: «Non si dica che quanto sta accadendo è per il coronavirus, ma è con il coronavirus, perché il grave stato emergenziale che attanaglia le carceri, i detenuti e chi vi opera è in essere da troppo tempo e solo l’improvvisazione di chi ha il dovere di gestirle politicamente, per conto dei cittadini, poteva non prevedere quello che sta accadendo in queste ore». E conclude: «D’altronde le organizzazioni sindacali rappresentative degli operatori del Corpo di polizia penitenziaria, pressoché unanimemente, lo denunciano insistentemente da mesi senza essere degnate della doverosa attenzione del ministro della Giustizia, il quale dovrebbe forse rammentare di non aver ricevuto un’investitura divina. Ora speriamo che si limitino i danni e tutto rientri nella normalità, ma immediatamente dopo nessuno potrà più far finta di niente». Come sappiamo, il decreto legge appena pubblicato in gazzetta ha vietato i colloqui dal vivo con i familiari fino al 3 aprile. In casi eccezionali può essere autorizzato il colloquio personale, a condizione che si garantisca in modo assoluto una distanza pari a due metri. Per compensare ciò i colloqui potranno svolgersi tramite una implementazione delle telefonate o l’utilizzo di Skype. Si raccomanda, inoltre, di limitare i permessi e la libertà vigilata o di modificare i relativi regimi in modo da evitare l’uscita e il rientro dalle carceri, valutando la possibilità di misure alternative di detenzione domiciliare.