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«Ho evitato per un pezzo le interviste, perché non volevo un processo mediatico. Ma dopo l’incidente probatorio mi sono sentita in dovere di rappresentare la verità, perché non è quella che vogliono far sembrare. Sono vittime e come tali devono essere trattate. Non è giusto cercare un’attenuante a uno stupro. Il caso va visto per quello che è: c’è una vittima, c’è un aggressore. Nazionalità e divisa non contano». A parlare è Francesca D’Alessandro, legale, assieme a Floriana De Donno, di una delle due ragazze americane che hanno denunciato di essere state violentate da due carabinieri a Firenze. Ragazze che, mercoledì, hanno affrontato l’udienza per l’incidente probatorio, nell’aula bunker di Firenze, dove da vittime si sono sentite, per quasi 12 ore, imputate. «Ebbe effusioni con l’appuntato? Lo considerava sexy? Le piaceva? Indossava le mutandine?» : sono solo alcune delle 250 domande proposte dalla difesa dei carabinieri Pietro Costa e Marco Camuffo, 32 e 47 anni. Domande che hanno rappresentato una prova di forza e di resistenza per le due ragazze di 21 e 19 anni davanti al gip Mario Profeta. «Era come se le vittime fossero salite sul banco degli imputati», racconta De Donno. Domande aggressive, molto invasive, fuori luogo, spiega al Dubbio, «fatte in maniera violenta e non pertinente». Tanto che buona parte - «ne abbiamo contate circa i due terzi» - non sono state ammesse. E tanto da riportare la mente agli anni 70, al documentario Processo per stupro. «Sembrava di essere tornati indietro di 50 anni - racconta -. I motivi? Non so, posso solo dire che quelle domande sono state una scelta difensiva. Ma ciò ha reso l’incidente probatorio sfiancante». Tanti i momenti di forte emozione, di cedimento, «di pianto a dirotto quando hanno ricordato i particolari e i dettagli della vicenda». Ma la fase più dura, spiega l’avvocato, è passata. Nonostante la violenza subita anche dall’opinione pubblica, che ha deciso autonomamente quale fosse la verità. «Forse ora possono cominciare un percorso di ripresa, che implica un trauma, che c’è stato e su quello non si discute. Mi auguro che l’opinione pubblica non risenta dei soliti luoghi comuni - ha spiegato -. Abbiamo assistito ad uno sciacallaggio mediatico. Da donna, francamente, mi rattrista. Poteva accadere ad ognuno di noi e se penso che poi si può subire questa gogna di pregiudizi il dolore aumenta. Ma la nostra assistita si farà giustizia sul punto: è una persona limpida, trasparente e molto fiduciosa nella giustizia».
E che si trattasse di un interrogatorio che minava a snervare le ragazze ne è convinta anche D’Alessandro, che parla di domande assolutamente irrilevanti. «Erano domande quasi scabrose: se indossava gli slip, se avesse subito altri stupri racconta -. Se anche fosse, non andrebbe tutelata? ». Ragazze giovanissime, le vittime, ma da prendere come esempio, «con un coraggio da fare invidia a chiunque», ha detto D’Alessandro parlando della 21enne. «Ha avuto coraggio in ogni momento, sia quando ha trascinato l’amica dentro casa dopo lo stupro, perché era incapace di badare a se stessa, sia quando poi ha denunciato e ha sempre ripetuto in maniera impeccabile cos’è successo, non si è mai contraddetta». La 21enne, giovedì sera, ha raccontato lo stupro a Porta a Porta, in un’intervista sofferta che ha ripercorso quei momenti terribili. Una scelta inizialmente non condivisa dal legale, che poi, però, si è ricreduto. «Tutti hanno diritto di sapere chi è questa persona - ha spiegato -. Potrebbe essere nostra figlia, è pulita, normale. Sì, si è ubriacata, ma quanti teenager lo fanno? Non per questo devono essere apostrofati come poco di buono».