La famiglia reale saudita e i suoi giganteschi fondi di investimento si stanno mangiando il calcio. Letteralmente, con il canto delle sirene dei petrodollari che attira non più soltanto le vecchie glorie ma anche campioni nel pieno degli anni e allenatori affermati, incapaci di rifiutare compensi che sembrano venire da un altro mondo come i 160 milioni di euro che l'Al-Hilal verserà in due anni al brasiliano Neymar, acquistato dal Psg per oltre 250 milioni.

In Italia hanno destato scalpore le improvvise dimissioni del Ct Roberto Mancini, reclutato dalla nazionale saudita per “appena” 60 milioni netti in tre anni. Nessuno può umanamente competere con simili cifre che fanno venire le vertigini non solo a noi comuni mortali.

E il tutto sta avvenendo con la rapidità di un terremoto: sono ormai decine i fuoriclasse che dalle big europee piombati a Ryad e pronti ad animare l’imminente campionato, da Brozovich a Koulibaly, da Milinkovich Savic a Marhez, passando per gli ex palloni d’oro Modric, Benzema e l’eterno Cristiano Ronaldo, giusto per citare qualche nome. Gli investimenti per la stagione 2023-24 sono di circa 20 miliardi e destinati a crescere negli anni.

L’ultima è che i sauditi vogliono addirittura partecipare alla Uefa Champions league la più prestigiosa competizione europea per club: come scriveva ieri il Corriere dello sport la federcalcio del paese arabo ha infatti chiesto un wild card per far iscrivere la vincitrice del prossimo campionato all’edizione 2024-25 che vedrà la rivoluzione del vecchio format, passando a 36 squadre e a un girone unico in cui ciascuna squadra giocherà almeno 8 partite.

Sembra fantascienza ma le ambizioni del principe ereditario Bin-Salman oggi autentico dominus della nazione sono smisurate come d’altra parte lo sono i mezzi che possiede per realizzarle in brevissimo tempo. Anche perché il vincolo “territoriale” europeo sembra facilmente aggirabile considerando che la Champions league vede da diversi anni la partecipazione di club israeliani, delle repubbliche centroasiatiche e persino dei territori palestinesi.

Diverso il discorso che riguarda il fair play finanziario che costringe club europei al pareggio della propria bilancia commerciale, obbligo impensabile per l’Arabia salita violentemente alla ribalta del pallone proprio grazie alle cifre faraoniche che può investire sul mercato calcistico. Eppure anche questo vincolo, spesso eluso furbescamente dagli stessi club europei, potrebbe sgretolarsi di fronte all’Eldorado promesso dai sauditi pronti a inondare di ricchezze inimmaginabili il calcio del vecchio continente e di conseguenza a stravolgerlo per sempre.

Ma se i capataz della Uefa alla fine cederanno alle lusinghe miliardarie, i rappresentanti delle istituzioni europee non potranno far finta di ignorare la feroce repressione che il regime saudita riserva agli oppositori politici arrestati a migliaia e condannati dopo processi sommari svolti a porte chiuse, alle donne trattate come subumane e private di quasi ogni diritto civile, agli omosessuali che vivono nascosti nel terrore di venire scoperti e arrestati dalle autorità, ai giornalisti che con coraggio sfidano il potere come il povero Jamal Kashogi, trucidato dai servizi segreti di Ryad nel 2019 all’interno dei locali dell’ambasciata saudita di Istanbul. Sorvolare queste vergognose violazioni vuol dire rendersi complici della formidabile opera di foot washing intrapresa dal principe Bin Salman che vuole ripulire la propria immagine di tiranno attraverso le stelle del calcio sfruttando la popolarità del gioco più amato del mondo.