Le immagini del blitz della polizia, mentre viene catturato Baris Boyun nella frazione viterbese di Bagnaia, sono state mandate in onda per l’intera giornata su tutti i canali televisivi turchi, a partire dalla Cnn Turk.

A chiedere l’applicazione della misura cautelare in carcere per Boyun è stata la pm di Milano Bruna Albertini con il procuratore Marcello Viola; l’ordinanza di 112 pagine è stata firmata dal Gip del tribunale di Milano Roberto Crepaldi. Numerosi i reati contestati a Boyun: omicidio, associazione a delinquere, importazione e detenzione di armi da guerra, tentata importazione di droga e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il trentanovenne turco, già agli arresti domiciliari a Bagnaia, è accusato anche di attentato per finalità terroristiche o di eversione e di banda armata finalizzata alla costituzione di una associazione terroristica. Nella mattinata è stato trasferito a Milano. Il gruppo facente capo a Boyun avrebbe inoltre ingaggiato una “guerra” a colpi di attentati con altre organizzazioni per imporre una supremazia criminale in Turchia e lontano dalla madrepatria.

L’autorità giudiziaria italiana conosce da tempo Boyun, già arrestato a Rimini nell’estate del 2022 in esecuzione di un mandato di cattura internazionale a seguito di una richiesta di estradizione emessa dall’autorità giudiziaria turca. Secondo la polizia di Ankara, Baris Boyun sarebbe a capo di un’organizzazione criminale radicata in Turchia. Ogni accusa è stata respinta due anni fa dalla difesa di Boyun con la tesi di una persecuzione politica, considerate le origini curde dell’uomo, e la richiesta di protezione internazionale fatta pervenire al nostro Paese. Nella contesa legale tra Italia e Turchia la Corte d’appello di Bologna ha negato l’estradizione. Decisione confermata successivamente dalla Cassazione.

I giudici della Suprema Corte hanno motivato il rigetto della richiesta di estradizione richiamando una sentenza della Corte Edu del 2016: «Sotto questo punto di vista risultano dirimenti le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo, che, sia pur con riferimento alla materia di protezione internazionale, ha condannato uno Stato membro del Consiglio d’Europa per avere ritardato l’esame di una domanda di asilo presentata da un cittadino turco e per essere stato dato dalla relativa autorità nazionale un parere favorevole all’accoglimento della richiesta di estradizione di quel soggetto risultato di etnia curda e fuggito dalla Turchia in presenza di un reale rischio che l’interessato, se rimpatriato nel suo Paese di origine, potesse essere sottoposto a tortura o maltrattamenti inumani o degradanti».

Quello di Baris Boyun non è comunque un profilo criminale comune. Sullo sfondo delle presunte attività illecite contestate vi sarebbe anche una motivazione ideologica. Alcuni passaggi dell’ordinanza del Gip del Tribunale di Milano, Roberto Crepaldi, sono a tal riguardo interessanti. A pagina 105 il Gip scrive che «appare evidente, quindi, come il Boyun stia continuando dall’Italia (ove ritiene di aver trovato protezione), insieme ai suoi uomini, una guerra per conquistare la supremazia su altri gruppi criminali che hanno infestato, a suo giudizio, lo Stato turco, lotta che evidentemente non coinvolge solo l’aspetto criminale ma anche quello istituzionale, accusato di fiancheggiare e favorire altre organizzazioni».

Sulla natura terroristica e sulle finalità criminali e politiche del gruppo Boyun il Gip fa un’analisi dettagliata. «Proprio in relazione allo stretto legame tra aspetto criminale e assetto dello Stato – scrive Crepaldi - la finalità del gruppo capeggiato da Boyun non si limita ad una lotta tra clan per il controllo del territorio e delle dinamiche criminali (traffico di droga, di armi e di migranti), come spesso constatato in passato nel contesto italiano tra associazioni mafiose rivali, ma assume natura propriamente terroristica». «L’uso della violenza», a detta del Gip milanese, «è il mezzo, oltre all’accumulo di ricchezze illecite, con il quale il Boyun intende perseguire i propri obiettivi criminali e politici». «L’aspetto “politico” della lotta del Boyun – aggiunge - è evidenziato anche nella conversazione del 16 gennaio 2024 nella quale l’indagato annuncia di aver “mandato notizie alla gerarchia superiore del Pkk, ho detto che non accettiamo un’organizzazione così e che fonderemo una nuova organizzazione iniziando una nuova rivoluzione”».

Fin qui le questioni giudiziarie legate all’imponente operazione di polizia realizzata a Viterbo. L’arresto del presunto terrorista turco potrebbe però aprire una partita diplomatica di non poco conto tra Roma e Ankara con una nuova richiesta turca di estradizione. Al netto delle gravi accuse mosse dalla procura di Milano, come si concilierebbe l’eventuale consegna di Boyun alla Turchia, dove le condizioni dei detenuti sono già state definite degradanti, anche in ossequio al quadro degli accordi internazionali a partire dalla Convenzione europea di estradizione del 1957 integrata dai protocolli addizionali? Non è escluso che la difesa di Boyun, facendo leva sulle sue origini curde, per evitare la consegna alla Turchia si giochi la carta, nonostante la gravità delle accuse, del pericolo di “trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona”, come indicato, dal nostro codice di procedura penale.

Sul versante politico il ministro degli Interni turco, Ali Yerlikaya, ha usato parole molto nette nel ringraziare la polizia italiana e l’Interpol-Europol per l’operazione condotta “contro il gruppo criminale organizzato guidato da Baris Boyun”. «Voglio – ha scritto il ministro turco su X - che la nostra cara nazione sappia che siamo determinati a distruggere le organizzazioni criminali organizzate e ad assicurarle alla giustizia, indipendentemente dalle loro dimensioni o dal Paese in cui sono fuggite. Toglieremo loro il fiato».

Il caso Boyun potrebbe aprire scenari ancora difficili da decifrare nei rapporti tra il nostro Paese e la Turchia. Il tutto a pochi giorni dal rientro in Italia di Chico Forti con l’inusuale – e contestata – accoglienza a Pratica di Mare da parte della premier Giorgia Meloni.