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L'altro volto dell'epidemia che mette sotto scacco le nostre libertà racconta di un altro diritto negato: l'accesso all'aborto sicuro, messo a rischio dall'emergenza sanitaria. L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) ha sempre carattere di urgenza e rientra tra le prestazioni non differibili, in considerazione dei limiti temporali stabiliti dalla legge 194/78. Eppure in questi giorni l’accesso al servizio già limitato dall'alto numero di obiettori di coscienza, diventa quasi impossibile con la chiusura dei consultori e la crisi del sistema sanitario. Con due rischi concreti: l'esposizione al contagio negli ospedali attraverso il percorso tradizionale dell’aborto chirurgico, maggiormente praticato in Italia, e la diffusione degli aborti clandestini. A lanciare l’allarme sono le associazioni di medici ginecologi e ostetrici, che insieme alla rete di sostegno e di tutela della salute delle donne, si rivolgono al governo per introdurre tempestivamente misure adeguate e favorire il metodo farmacologico. «Durante questa fase di emergenza sanitaria, se le donne incontrano difficoltà ad accedere ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza rischiano di superare i limiti temporali entro i quali la Legge 194/78 prevede il diritto di interruzione. Questo rischio è maggiore per le donne che vivono in condizioni di alta marginalità e vulnerabilità», si legge nella lettera aperta al ministro Speranza firmata dalle associazioni Pro-choice, LAIGA, AMICA e Vita Di Donna ONLUS, e sottoscritta da esponenti politici e intellettuali come Laura Boldrini, Roberto Saviano e Lea Melandri. Con una petizione disponibile sulla piattaforma avaaz.org si chiede di facilitare la procedura farmacologica e di allungare da sette a nove settimane il tempo per l’ammissione al trattamento. La proposta inoltre è di consentire che l'intero processo si svolga da remoto attraverso la telemedicina, sulla scorte delle esperienze già maturate in Francia e Inghilterra. «Un impiego maggiormente estensivo dell’aborto farmacologico - spiegano i ginecologi - finora relegato ad un ruolo marginale, permetterebbe, in particolare in questa fase di pandemia, di decongestionare gli ospedali, alleggerire l’impegno degli anestesisti e l’occupazione delle sale operatorie. Ciò anche in ottemperanza al decreto Ministeriale del 3 marzo scorso, che ha ribadito che tra le attività indifferibili, insieme al Percorso nascita, deve essere tutelato e garantito il percorso dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG)». «Una riorganizzazione adeguata che persegue l’obiettivo di facilitare e de-ospedalizzare l’aborto, prevedendo un maggior coinvolgimento degli ambulatori, può rappresentare una soluzione efficace sia per le donne, tutelando un diritto sancito dalla legge italiana, sia per decongestionare gli ospedali», aggiunge Elsa Viora, Presidente AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri). Anche l'Associazione Luca Coscioni, che da tempo porta avanti campagne di tutela del diritto delle donne a scegliere, denuncia il rischio della clandestinità e chiede l'applicazione del regime ambulatoriale. L'associazione ha aderito insieme ad altre 100 organizzazioni no-profit di tutta Europa a un appello per chiedere ai Governi europei delle misure urgenti, e mette a disposizione gratuitamente un’intelligenza artificiale, CitBot, in grado di rispondere, online 24h su 24, alle domande sul tema. «Impedire l’accesso a un servizio essenziale, quale l’aborto, mettendo in dubbio la legge 194, costituisce un reato sempre, oltre che un danno enorme alla salute psico-fisica delle donne. Insieme altre associazioni di medici non obiettori e la rete pro-choice, chiediamo, quindi, di allinearci alle buone pratiche degli altri paesi europei, ammettendo il regime ambulatoriale per la IVG farmacologica», spiega Filomena Gallo, Segretario Nazionale Associazione Luca Coscioni. Il metodo farmacologico prevede un processo medico distinto in più fasi che si basa sull’assunzione a distanza di 48 ore di due principi attivi, il mifepristone (conosciuto con RU486) e una prostaglandina: in Italia è possibile ricorrere a questa procedura soltanto in regime di ricovero ordinario fino a tre giorni. Diversamente da altri paesi europei, solo il 17,8% delle IVG avviene con l'uso della pillola abortiva, e attualmente molti ospedali sono spinti a sospendere il servizio a favore delle IVG chirurgiche che si svolgono in day hospital. In alcune strutture le IVG sono del tutto sospese, e le donne si imbarcano in una lotta contro il tempo per presentare richiesta. Attività di sostegno sono state messe in campo dall'organizzazione "Obiezione Respinta", che ha raccolto in questi giorni testimonianze drammatiche e ha deciso di monitorare la situazione negli ospedali attraverso un canale di supporto Telegram. Non solo al Nord, dove l’epidemia ha colpito più duramente, ma anche nelle strutture del sud l’accesso ai reparti ospedalieri IVG e agli ambulatori è gravemente compromessa: numerose donne vicine alla scadenza raccontano di essere state respinte o di aver raggiunto tra enormi difficoltà strutture lontane chilometri dalla propria residenza. Il numero già ristretto di reparti ospedalieri abilitati sono infatti interamente convertiti ai pazienti Covid, molti ambulatori e consultori IVG sono chiusi, e parte degli anestetisti non obiettori sono impegnati nell’emergenza. Una situazione di crisi che lascia emergere la fragilità della rete prevista dalla legge 194 e il dibattito irrisolto sulla RU486. Intanto le associazioni obiettrici, come Pro Vita e Famiglia in Italia, si mobilitano per negare l’accesso all’aborto durante lo stato di crisi, seguendo l’esempio degli stati del Texas e Ohio, dove il blocco temporaneo è già operativo. In Galles invece il governo e la comunità medica hanno dato il via libera all’aborto in casa per evitare la diffusione del contagio negli ospedali e il ricorso agli aborti illegali. «Mentre affrontiamo la crisi del Covid-19 la sicurezza pubblica è la nostra priorità numero uno», ha dichiarato il ministro della Salute Vaughan Gething, precisando che l’autorizzazione all’aborto a domicilio «è una misura temporanea per garantire che le donne possano continuare ad accedere a questi servizi chiave senza essere esposte a rischi inutili durante questi tempi difficili».