Il nemico esterno e il nemico interno: di fronte a un’opposizione politica silente e smarrita, l’unico antagonista dell’amministrazione Trump sembra essere la giustizia, dalla Corte penale internazionale dell’Aja (Cpi) ai tanti tribunali disseminati sul territorio americano che nelle ultime settimane stanno congelando la valanga di ordini esecutivi emanati dalla Casa Bianca.

Le sanzioni contro la Cpi segnano in tal senso un passaggio cruciale nell’opera di delegittimazione del diritto internazionale avviata del tycoon: la decisione di colpire economicamente al procuratore capo Karim Khan e gli altri membri della Corte, congelandone i beni e vietandone l’ingresso in territorio americano è ufficialmente una risposta alle indagini su presunti crimini di guerra compiuti dalle forze americane in Afghanistan e dal super-alleato israeliano nella Striscia di Gaza. Per Trump la Cpi non è un’istituzione imparziale al servizio della giustizia planetaria, ma un organismo politicizzato e ostile agli interessi nazionali degli Stati Uniti e dei suoi amici.

È in questa cornice che ieri la stessa Corte dell’Aja ha lanciato un appello su X «a tutti i 125 Stati firmatari del Trattato di Roma e alla società civile», affinché facciano quadrato per difendere il mandato e le prerogative della Cpi: «La Corte penale internazionale deplora la decisione dell'amministrazione statunitense di imporre sanzioni e si impegna a continuare a svolgere il suo mandato nell'interesse di milioni di vittime innocenti di atrocità e chiama i suoi membri a unirsi per sostenere la giustizia e il diritto globale».

Il 7 febbraio scorso, 79 Paesi membri della Cpi avevano firmato una dichiarazione congiunta contro le sanzioni di Washington in quanto «danneggiano gravemente tutte le inchieste in corso, rischiano di costringere la Corte a chiudere i suoi uffici sul campo lascoando impuniti i crimini più gravi». Tra i firmatari figurano i principali Paesi dell'Unione Europea, come Germania, Francia e Spagna, insieme alla Gran Bretagna. Unica assente l’Italia, impegnata in una ruvida controversia con l’Aja per il caso Almasri.

La delegittimazione del diritto e del sistema giudiziario si riflette, forse con ancor più virulenza, sul fronte interno dove nelle ultime settimane alcuni tribunali federali hanno congelato diversi ordini esecutivi dell’amministrazione. Il più furibondo detrattore della giustizia Usa è il miliardario Elon Musk, nominato da Trump a capo del Dipartimento della cosiddetta efficienza governativa con lo scopo di falciare la spesa pubblica e di licenziare decine di migliaia di funzionari. Durissime le invettive di Musk contro il giudice che ha impedito al suo staff di accedere ai registri del Tesoro. A dargli man forte il vicepresidente J.D. Vance che su X spara a zero sul potere giudiziario con una singolare analogia: «“Se un giudice provasse a dire ad un generale come condurre un’operazione militare, sarebbe illegale. Se un giudice tentasse di ordinare al procuratore generale come usare la sua discrezione come pubblico ministero, anche questo sarebbe illegale. Per la stessa ragione giudici non sono autorizzati a verificare il legittimo potere dell'esecutivo».