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Quando gli si chiede di Fantaghirò, Lamberto Bava sorride sornione. Lui ha l’horror nel sangue per eredità paterna ( il padre, Mario Bava fu uno dei registi cardine del cinema dell’orrore italiano, adorato all’estero tanto da aver influenzato Quentin Tarantino e John Landis) e, per gli appassionati del genere, Bava è il regista di Demoni ma anche uno dei più stretti collaboratori di Dario Argento, con cui girò Tenebre. Eppure, il suo lavoro ha un posto nel cuore di un pubblico che probabilmente mai si sarebbe avvicinato ad una sala cinematografica in cui proiettavano i suoi film. Erano gli anni Novanta e il suo nome, scandito nella pubblicità che anticipava la serie, è rimasto indimenticato tra tutti gli appassionati della miniserie televisiva targata Mediaset.
Fantaghirò ormai è un prodotto di culto, acquistato addirittura da Netflix. Quanto si sente parte di questo successo così duraturo nel tempo?
Prima di Fantaghirò, sono diventato un fenomeno cult con Demoni, nel 1985, che addirittura ha schiere di fan a livello mondiale. Ecco, Demoni e Fantaghirò sono i miei due grandi successi.
Come si sente un regista di film dell’orrore ad essere amatissimo
per aver girato una fiaba?
Glielo dico sinceramente, il successo di Fantaghirò è davvero quello che mi fa più piacere. All’epoca in cui il primo Fantaghirò andò in onda, mio figlio più piccolo andava all’asilo e io un giorno lo andai a prendere. A un certo punto venni circondato da tutti questi bambini di sei o sette anni e una piccola mi si avvicinò, sgranando gli occhioni, e mi disse: «Signore, quando ce ne fai un altro?». Ecco, così ho capito che era stato un prodotto riuscito e che ne avrei sicuramente diretto almeno un secondo.
Ancora oggi le capita di venire riconosciuto come il regista di Fantaghirò?
Continuamente. L’altro giorno sono andato in banca e il nuovo direttore mi ha chiesto se ero il Bava di Fantaghirò. Mi ha raccontato che da ragazzo li aveva visti tutti e non li aveva mai dimenticati. Mi sorprende sempre vedere quanti sono i trentacinque- quarantenni che la ricordano e per la loro generazione davvero Fantaghirò è rimasta nell’immaginario.
E poi chi l’ha detto che le fiabe non possano essere un po’ horror?
Appunto. Io non sono mai stato un amante dell’horror in quanto tale ma più della sua declinazio- ne di genere fantastico, e del mondo del fantastico fanno parte a pieno titolo anche le fiabe. Anche in Fantaghirò i livelli di lettura sono più d’uno e una certa dose di horror c’è: pensi per esempio alla Strega Nera che si trasforma in corvo o a Tarabas, lo stregone che diventa un lupo mannaro.
Le fiabe devono fare un po’ paura, insomma.
Il primo film che mi portarono a vedere al cinema fu Bambi, di Walt Disney. Avevo cinque anni e mi dovettero portare fuori piangente, dopo che i cacciatori avevano ucciso la madre di Bambi. Me lo ricordo ancora: piansi per tre giorni. Ecco, forse da lì inconsciamente arriva il mio gusto per la favola dell’orrore.
Una fiaba dell’orrore che ancora ha il suo fascino dopo 26 anni. Ma come si spiega un successo del genere?
Mi creda, non lo so. Quello che mi meraviglia è che Fantaghirò non è l’unica favola che ho diretto in quel periodo, perchè sono seguiti La principessa e il povero, Sorellina e il principe del sogno e Desideria e l’anello del drago. Eppure nessuna è rimasta così impressa nella memoria dei telespettatori. Forse, però, a fare la differenza è stato l’obiettivo ambizioso che ci eravamo posti con Mediaset.
E quale era l’obiettivo?
All’epoca il direttore della fiction Mediaset era Riccardo Tozzi, uno con vedute decisamente ampie. Quando decidemmo di realizzare Fantaghirò, il nostro intento era di mettere davanti al televisore madre, padre e figli tutti insieme. Ricordo che qualcuno ci chiese se, visto che era una fiaba, lo avremmo mandato in onda alle 5 del pomeriggio. Invece noi puntammo al pubblico della prima serata e a distanza di anni è chiaro che avevamo ragione noi.
Tra le ragioni del successo, anche la scelta di un cast incredibile.
Quando scelsi Alessandra Martines per il ruolo di protagonista non fu facile convincere Mediaset. Era una scommessa e ci fu più di una resistenza sul suo nome perchè all’epoca quello di Alessandra era un volto della Rai, eppure rimango convinto sia stata la scelta giusta. Certo, dopo il successo dei primi film, sembrò che la riuscita di Fantaghirò fosse solo merito suo. In parte era vero, ma dietro è esistito un enorme lavoro di gruppo e un cast di comprimari di primo livello.
Oggi qualcuno investirebbe mai in Italia su una serie di questo tipo?
Guardi, io credo che se oggi qualcuno andasse a proporre Fantaghirò alle televisioni generaliste gli riderebbero in faccia e gli direbbero un gran no. Fu un azzardo riuscito, ma è l’indice di come la Mediaset di allora avesse la capacità di rischiare.