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Sul Washington Post, Davide Casaleggio esalta la democrazia digitale. Ma l’agorà telematica che configura il fondatore della piattaforma Rousseau è a doppio taglio. Prevede moltitudini di esseri solitari che si connettono grazie ad una tastiera. Più che diretta, è il volto di una democrazia dispersa. Un urlo solitario, non la condivisione di un pensiero. Quell’algoritmo non ci salverà Senza garanzie la Rete è un bluff
Ese in fondo Davide Casaleggio avesse ragione? Non è forse sotto gli occhi di tutti che la democrazia rappresentativa, per delega, stia perdendo via via significato? Non è forse vero che sia vissuta da milioni di persone nelle società occidentali ( le uniche che coltivano la libertà) non più come una opportunità ma come uno strumento che ha fatto il suo tempo? Come è vero che il MoVimento 5 Stelle è riuscito in pochi anni a costruire un consenso che l’ha portato ad essere la prima forza politica di uno degli otto Paesi più industrializzati al mondo. Un indubitabile «successo storico» ottenuto grazie a Internet, come dice il fondatore della piattaforma Rousseau, che fa dei Cinquestelle «la prima grande compagine politica digitale al mondo». Dov’è allora il problema? Perché non arrendersi - verbo che tanto piace a Beppe Grillo - alle magnifiche sorti e progressive della democrazia diretta via Rete «che ha dato una nuova centralità del cittadino nella società» ?
La risposta ( o almeno una sua parte sostanziale) sta in un racconto di fantascienza del 1957 scritto da Isaac Asimov, dal titolo Il sole nudo.
Asimov prefigurava un pianeta chiamato Solaria abitato da appena 20 mila persone ( e duecento milioni di robot) che avevano rapporti solo grazie a immagini oleografiche tridimensionali, evitando ogni altro contatto. Un giorno viene commesso un delitto: per risolverlo arriva un investigatore dalla Terra. La soluzione sta nel fatto che l’assassino si è presentato davanti alla vittima che però non si è accorta del pericolo perché pensava di essere di fronte ad una forma incorporea invece che a una persona in carne e ossa. La democrazia che configura Casaleggio è come quella di Solaria: moltitudini di esseri solitari che si connettono l’un l’altro grazie ad una tastiera. Con la quale esprimono l’indirizzo politico che preferiscono ma, nelle intenzioni più immaginifiche, governano ogni atto della loro vita “sociale”. Così concepita, più che diretta emerge il volto di una democrazia dispersa.
Un urlo solitario, non la condivisione di un pensiero.
L’illusione che sta alla base dei convincimenti del fondatore della piattaforma grillina è che l’asettica levigatezza della tecnica possa non solo prevalere ma addirittura sostituire l’incerta variabilità del rapporto umano. Che un algoritmo si ponga ad un livello superiore rispetto alla discrezionalità delle valutazioni dei singoli.
Poi c’è l’aspetto organizzativo, che possiamo definire delle garanzie. La democrazia in salsa digitale fa piazza pulita di ogni livello intermedio e unisce senza declinazione alcuna il piano decisionale con gli utenti del web. Lasciando il primo a tutto vantaggio di un sinedrio, spesso avvolto nella nebbia, che stabilisce le regole salvo poi modificarle se il risultato non è quello voluto; consentendo a chi pigia i tasti la sola alternativa tra dire sì o no. Riducendo al minimo, se non addirittura azzerandola, ogni interlocuzione. Il dissenso ne risulta così marginalizzato o, più frequentemente, annullato: anche perché con l’algoritmo che agisce non ce n’è più bisogno, è un impaccio.
La democrazia delegata ( e rappresentativa) è contraddistinta dal fatto che la delega così com’è consegnata può anche essere ritirata. La democrazia diretta è unidirezionale e di tipo binario. Non può essere sostituita con nulla: chi non la condivide si pone fuori dal circuito decisionale autoisolandosi dall’isolamento: e tanti saluti.
Come avvertiva Wiston Churchill parlando alla Camera dei Comuni di Westminster nel 1947, «la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre che si sono sperimentate fino ad ora». Non conosceva la piattaforma Rousseau, è vero: ma è difficile credere che avrebbe modificato il suo pensiero. L’ora più buia - per parafrasare il titolo del film attualmente in circolazione sulla vita dello statista inglese - è quella nella quale una simile consapevolezza non fa più presa suli cittadini. L’agorà telematica di tipo ateniese che immagina Casaleggio, allo stesso tempo fortemente liquida e inesorabilmente stringente, minaccia di tramutarsi in un meccanismo che stritola l’individuo che devia. Basta rifarsi alla proposta di inserire il vincolo di mandato per i parlamentari, riducendoli a meri esecutori di decisioni prese in altri contesti e sulla base di altri criteri.
Come insegna la storia, i furori rivoluzionari che tracimano dai contrappesi delle regole e dal loro rispetto, provocano disastri: talvolta addirittura eccidi. Avveniva per le tricoteuses acquattate sotto le ghigliottine della Rivoluzione francese. O per i soviet di quella russa, rapidamente trasformatisi da presidi della libertà a tribunali del popolo. Gli undici milioni di italiani che il 4 aprile sulla scheda elettorale hanno messo la croce sul simbolo pentastellato hanno inteso più che legittimamente e con parecchie, giustificate, motivazioni - esprimere insofferenza nei confronti delle degenerazioni di un sistema politico via via allontanatosi dai loro bisogni. E’ a quelli che bisogna tornare; sta lì il compito e il dovere della politica. La democrazia rappresentativa - l’unica dove l’uno vale uno: segnatamente nei seggi - è ancora la cornice migliore per consentire di realizzare quell’obiettivo. Il resto è velleità, nel migliore dei casi. Oppure fuffa.