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La corruzione in Italia c’è ed è pericolosa, ma nulla di neanche lontanamente paragonabile a Tangentopoli, quando rappresentava «uno stabile meccanismo di regolazione della vita pubblica».
Tanto che pensare alle manette e alla sola repressione come antidoto, così come per l’evasione fiscale, è sciocco. Il saluto di Raffaele Cantone all’Anac avviene con una relazione quasi sovversiva, se si pensa alla narrazione quotidiana che si fa del livello di malcostume del Paese.
E per quanto non si possa abbassare la guardia di fronte ad un episodio corruttivo ogni dieci giorni, nei cinque anni di attività dell’Autorità anticorruzione ciò che è emerso è un livello bagatellare, con contropartite fatte soprattutto di posti di lavoro, favori e a volte anche pochi spicci. Insomma, un livello aggredibile, secondo Cantone, che punta soprattutto sulla prevenzione.
La conferenza stampa di presentazione del rapporto “La corruzione in Italia” si è aperta con una velata critica al sistema politico, che più volte Cantone ha tirato in ballo. E la prima contestazione è quella relativa all’agenda istituzionale, dalla quale il tema «per certi versa sembra un po’ scomparso». Un rimprovero che fa il paio con la preoccupazione per le norme che hanno semplificato la burocrazia dei piccoli appalti, i più soggetti ad episodi corruttivi.
Cantone. La geografia del fenomeno è chiara: a oggi, sono 41 gli appalti per i quali l’Anac ha chiesto e ottenuto il commissariamento, la maggior parte dei quali nel Meridione. E i soggetti istituzionali più permeabili sono i Comuni. Ma la corruzione, ha sottolineato Cantone, è cambiata, spostandosi dalla poolitica verso la burocrazia.
«Negli ultime tre anni sono stati arrestati venti sindaci, alcuni assessori e consiglieri comunali - ha sottolineato - ma la maggioranza dei soggetti attinti da misure cautelari o che sono stati oggetto di indagini per fatti corruttivi sono soprattutto membri della burocrazia, funzionari e dirigenti».
Una corruzione «pulviscolare» che vede il funzionario accontentarsi anche di una pulizia del giardino o qualsiasi piccola utilità. Dunque diffusa, «ma diversa anni luce rispetto a quella di Tangentopoli», ha spiegato il magistrato. La maggior parte degli episodi sono infatti «di piccolo calibro» e dimostrano che la corruzione, in parte, «può essere aggredita», con misure repressive, ma soprattutto preventive.
Ma non solo: dal rapporto emerge anche la consapevolezza di una reazione da parte del Paese, che ha guadagnato 16 posizioni in cinque anni nella classifica di Transparency International.
Il quadro è preoccupante, dunque, ma «non devastante», tanto da poter essere «assolutamente ridimensionato e riportato entro i binari fisiologici di ogni democrazia». E l’evasione fiscale, allo stesso modo, «non si vince affatto con le manette», ha sottolineato.
Dal punto di vista numerico, il rapporto piazza al primo posto per episodi corruttivi la Sicilia, dove nel triennio sono stati registrati 28 episodi di corruzione, quasi quanti se ne sono verificati in tutte le regioni del nord ( 29 nel loro insieme).
A seguire, il Lazio ( con 22 casi), la Campania ( 20), la Puglia ( 16) e la Calabria ( 14). Il 74% delle vicende ( 113 casi) ha riguardato l’assegnazione di appalti pubblici. Ma la nuova forma di tangente è il posto di lavoro: dalla relazione emerge, infatti, la “smaterializzazione” della mazzetta, con una sempre minor ricorrenza della contropartita economica.
E anche se il compenso economico riguarda il 48% delle vicende esaminate, spesso si tratta di cifre esigue, a volte anche 50 euro appena. Ma c’è anche l’assegnazione di prestazioni professionali, specialmente sotto forma di consulenze, e regalie, ma anche ristrutturazioni edilizie, riparazioni, servizi di pulizia e talvolta prestazioni sessuali.
«Tutte contropartite di modesto controvalore - si legge nella relazione - indicative della facilità con cui viene talora svenduta la funzione pubblica ricoperta». Ma il cambiamento è «in atto» ed è anche «di tipo culturale». Basti pensare alle segnalazioni di illeciti sul luogo di lavoro ( whistleblowing), con oltre 700 denunce nei primi nove mesi, a riprova «della crescente propensione a denunciare reati e irregolarità».
Ma anche se tutto ciò è pericoloso, perché «spesso la funzione è svenduta per poche centinaia di euro», è innegabile che la corruzione, per molti versi, sia «più agevole da aggredire rispetto ai primi anni novanta, non regolando più la vita pubblica ma essendo espressione di singoli gruppi di potere o di realtà economiche alternative e talvolta - conclude il rapporto - persino antagoniste alla vita delle istituzioni».