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Anti riot police officers use pepper spray during clashes with people in Istanbul, Turkey, Thursday, March 20, 2025, as they protest against the arrest of Istanbul's Mayor Ekrem Imamoglu. (AP Photo/Khalil Hamra)
Un Paese incendiato dalla rabbia. Dalla ribellione contro Erdogan. Che l’arresto del sindaco Ekrem Imamoglu avrebbe innescato conseguenze non controllabili, era evidente già da mercoledì, dal giorno in cui il primo cittadino di Istanbul è finito in manette.
E da oggi sera le maggiori città della Turchia sono teatro di manifestazioni imponenti. Che secondo le opposizioni, vedono in piazza qualcosa come 300mila persone. A Istanbul, ma anche ad Ankara e altrove. Anche a Smirne, la terza città più grande del Paese, sono scoppiati scontri fra manifestanti e polizia. A Istanbul gli agenti a hanno sparato proiettili di gomma, a Smirne hanno utilizzato idranti, come dimostrano le riprese delle televisioni locali.
Il leader di Chp, il maggior partito di opposizione in Turchia, Ozgur Ozel, di fronte al municipio di Istanbul ha ribadito l’importanza del diritto a protestare: «I democratici – ha affermato - sono coraggiosi e rispettano la protesta. Ma i dittatori hanno paura delle piazze. Erdogan, se hai paura di questa piazza, allora sei un dittatore!».
Immediata la risposta del presidente turco, secondo il quale il «governo della Turchia non si arrenderà al terrorismo di strada». «Non tollereremo – ha aggiunto Erdogan – il tentativo di terrorizzare la Turchia e di disturbarne la pace. Non siamo d’accordo con il danneggiare la duratura fratellanza di questo popolo. Ricordate che l’appello a scendere in piazza, chiesto dal presidente del Partito popolare repubblicano, Ozgur Ozel, è un vicolo cieco». Secondo il presidente turco, «seguire gruppi marginali, attaccare la polizia, minacciare giudici e procuratori, sfidare la democrazia e ricorrere a mezzi illegali e antidemocratici non può portare a nulla. Puntare alla piazza invece che ai tribunali è gravemente irresponsabile».
Un avviso chiaro rivolto tanto agli oppositori politici quanto agli avvocati, che in questo momento sembrano ancora più uniti per difendere i diritti in Turchia. Che la tenuta della già fragile democrazia turca sia prossima a cedere del tutto, infatti, lo suggerisce anche una notizia tanto inquietante quanto emblematica del clima di scontro ormai totale fra il “sultano” e chi gli si oppone: l’Ordine degli avvocati di Istanbul è stato dichiarato decaduto dal Tribunale della città più importante della Turchia.
È stata accolta la domanda del pubblico ministero per la rimozione dei componenti del Consiglio dell’Ordine forense. Si dovrà procedere pertanto all’elezione di un nuovo direttivo per garantire la continuità delle funzioni dell’avvocatura di Istanbul. La decisione di scioglimento dell’Ordine non è esecutiva ed è appellabile.
Al momento della lettura della sentenza, decine di avvocati hanno iniziato a protestare in aula. L’Ordine di Istanbul – il più grande del mondo, con 64mila iscritti – è presieduto dal costituzionalista Ibrahim Kaboglu. Le accuse mosse nei mesi scorsi nei suoi confronti e a un’altra decina di colleghi sono quelle di aver fatto propaganda per un’organizzazione terroristica attraverso la stampa, e di aver diffuso pubblicamente informazioni fuorvianti. A fine dicembre, in un post condiviso su X, l’avvocatura aveva chiesto un approfondimento serio sull’omicidio dei giornalisti Nazim Daştan e Cihan Bilgin in Siria.
L’indagine contro gli avvocati avviata dalla Procura ha suscitato non poche polemiche. Il professor Kaboglu ha definito l’iniziativa dell’autorità giudiziaria un «intervento esterno nella gestione democratica dell’Ordine degli avvocati». Il clima, prima e dopo la conclusione dell’udienza che ha portato allo scioglimento dell’Ordine, è stato teso. Decine e decine di poliziotti per ore hanno presidiato l’area del Tribunale in tenuta antisommossa.
In Tribunale era presenti come osservatori internazionali anche gli avvocati Barbara Porta del Foro di Torino (per l’Oiad, il Ccbe e il Cnf) e Alessandro Magoni per le Unione Camere penali. All’uscita dal Tribunale, il presidente decaduto dell’Ordine di Istanbul, Ibrahim Kaboglu, ha espresso amarezza per la decisione dei giudici, ma con fermezza ha pure affermato che l’avvocatura non si farà intimidire: «Pensano – ha commentato - di mettere a tacere 200 mila avvocati in Turchia. Stiamo assistendo al crollo della giustizia in tribunale, ma i tribunali non sono solo quelli che hanno dichiarato la decadenza del nostro Consiglio dell’Ordine. Purtroppo, però, dobbiamo constatare la grande ingiustizia alla quale abbiamo assistito. I giudici hanno dichiarato molto semplicisticamente che chi viene eletto può essere sostituito con altre elezioni, dimenticando i soprusi che si sono consumati. Ci siamo presentati in udienza già il 4 marzo e abbiamo fatto grandi sforzi per garantire che l’udienza si svolgesse nel rispetto della legge. È lo stesso è avvenuto oggi».
Kaboglu ha ringraziato chi è stato vicino a lui e agli altri avvocati che dovranno lasciare l’incarico: «La stragrande maggioranza degli Ordini degli avvocati turchi è con noi, i rappresentanti degli Ordini degli avvocati europei sono qui per esprimerci piena solidarietà. Sono venuti per dimostrare l’importanza del diritto di difesa. Abbiamo aspettato fino alla fine, abbiamo fatto ogni sforzo per garantire che il processo si svolgesse nel quadro delle regole minime previste dalla Costituzione. Ma abbiamo visto che una decisione era stata presa in anticipo».