Sono state depositate, a quasi un anno dalla sentenza emessa il 23 settembre del 2021, le motivazioni del processo d’appello
sulla trattativa tra Stato e Cosa Nostra. La Corte d’assise d’appello di
Palermo, presieduta da
Angelo Pellino, aveva assolto al processo gli ex ufficiali del Ros
Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno e il senatore
Marcello Dell’Utri, accusati di minaccia a Corpo politico dello Stato. In primo grado erano stati tutti condannati a pene severissime. Dichiarate prescritte le accuse al pentito
Giovanni Brusca. Pena ridotta al boss
Leoluca Bagarella. Confermata la condanna del capomafia
Nino Cinà. La sentenza è composta da oltre tremila pagine.
Trattativa Stato-Cosa Nostra, ecco le motivazioni d'appello
«Ben si comprendono le perplessità di
Paolo Borsellino a fronte dell’opzione di chiudere con una richiesta di archiviazione le indagini del più importante procedimento istruito in quel momento storico dalla Procura di
Palermo nell’ambito di quello specifico filone investigativo» scrivono i giudici della
Corte d’assise d’appello di Palermo, i quali ricordano anche le «doglianze che
Borsellino aveva personalmente raccolto nei suoi contatti con i carabinieri del
Ros». E fanno riferimento a quanto accadde nell’affollata assemblea plenaria che si tenne in Procura con i pm
il 14 luglio del 1992, cioè appena cinque giorni prima della
strage di via D’Amelio. «Il dottor Borsellino lo disse espressamente in quella assemblea», dicono, come «ben rammenta
Luigi Patronaggio».
La proposta di Vito Ciancimino ai carabinieri del Ros
«È pacifico, perché comprovato dalle convergenti allegazioni dei diretti protagonisti della vicenda, che
Vito Ciancimino», l’ex sindaco mafioso di
Palermo «intese la proposta inizialmente rivoltagli da
Mori e De Donno esattamente nei termini in cui tale proposta era stata formulata, e quindi, così come riassunta, con parole diverse, ma semanticamente equipollenti, dai due ex ufficiali prefetti. E dunque la proposta fu di tentare di stabilire un contatti con i vertici,
o comunque con esponenti autorevoli di Cosa nostra per sondarne la disponibilità ad un dialogo finalizzato a trovare un punto di intesa, cioè un accordo, per porre fine alle stragi». «In sostanza - dicono i giudici - la sollecitazione rivolta a
Ciancimino di sondare la possibilità di allacciare un dialogo con ’"quella gente" voleva essere,
nelle intenzioni degli ufficiali del Ros, solo un escamotage per guadagnarsi la sua fiducia e per prendere tempo, portandolo gradatamente dalla loro parte, poiché non si poteva a muso duro intimargli di collaborare se voleva alleviare la sua posizione processuale».
Trattativa Stato-Cosa nostra, «la sentenza di primo grado è incongruente»
La sentenza di primo grado, con la quale i giudici guidati da
Alfredo Montalto, condannarono pesantemente i generali
Antonio Subranni e Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno, «è incongruente», sostiene il collegio giudicante, presieduto da Angelo Pellino che dunque non risparmia le critiche al collega di primo grado. In appello i tre ufficiali sono stati tutti assolti, così come l’ex senatore
Marcello Dell’Utri, tutti accusati di minaccia a corpo politico dello Stato.
Pellino parla di «varie incongruenze» della sentenza di primo grado. «Anzitutto - scrivono i giudici d’appello - nel ragionamento dei giudici di primo grado sembra quasi che la cattura di
Riina sia sopravvenuta come un evento accidentale, nel percorso della trattativa. E che il segnale rassicurante lanciato con la mancata perquisizione del covo di
Riina servisse a confermare che nulla era cambiato, e che restava ferma la sollecitazione a
coltivare un dialogo finalizzato a porre fine all’escalation della violenza mafiosa ripristinare un costume di rapporti ispirati a una pacifica coabitazione o almeno un tacito patto di non belligeranza tra Stato e mafia».
La cattura di Totò Riina e lo stop alla trattativa con Ciancimino
«In realtà - dicono ancora in sentenza d’appello - la lettura offerta dalla sentenza non i conti con il dato conclamato che la cattura di
Riina non era un accidente nel percorso della presunta trattativa, perché parallelamente allo sviluppo dei contatti con
Ciancimino», l’ex sindaco mafioso di Palermo,
il generale Mario Mori e i suoi uomini «si preparavano e si attrezzavano per dare corso a una indagine sul territorio specificamente mirata a individuare e a catturare il capo di Cosa nostra». «E dimentica di considerare che la trattativa con Ciancimino, a sua volta, non aveva avuto uno svolgimento lineare,
ma stando almeno alla narrazione dei tre protagonisti, aveva conosciuto a un certi punto una brusca interruzione e comunque una drastica svolta».