È stato ordinato sacerdote oggi a Genova
Maurizio Scala, detto “Momo” responsabile del servizio ai senza dimora della Comunità di Sant'Egidio a Genova. Sessantaseianni, pensionato, vedovo, nonno di due bambine e una vocazione che nasce dall'esperienza di 45 anni con
Sant'Egidio, che lui stesso ha contribuito ad avviare nel 1976 a Genova.
Per la celebrazione, presieduta dall'arcivescovo di Bologna card.
Matteo Zuppi e concelebrata dall'arcivescovo
Vincenzo Paglia, presidente della pontificia accademia per la vita e da numerosi sacerdoti, si sono raccolte nella basilica dell'Annunziata, storica sede della comunità cattolica nel capoluogo ligure, quasi 500 persone. Tra loro, oltre al fondatore di Sant'Egidio
Andrea Riccardi e al presidente
Marco Impagliazzo, molti amici, quei poveri che don Maurizio incontra tutte le sere nel servizio ai senza dimora a Genova. [caption id="attachment_367436" align="alignnone" width="275"]
don Maurizio Scala[/caption]
La storia di don Maurizio Scala
Dopo aver contribuito a creare il gruppo della Comunità di Sant'Egidio a
Genova, alla fine degli anni Settanta, Maurizio Scala ha saputo tenere insieme l'impegno accanto ai poveri, la formazione dei giovani, il supporto alla formazione e
alla crescita dei gruppi di Sant'Egidio in altre città del Nord Italia, la formazione spirituale. Anche la lunga malattia della moglie, che Momo ha curato in casa fino all'ultimo momento, non gli ha impedito di rimanere un riferimento per i giovani e gli adulti della Comunità in
Liguria. Dopo essere rimasto vedovo, don Maurizio ha intrapreso il nuovo percorso di formazione fino all'ordinazione sacerdotale di oggi.
Il Cardinale Zuppi parla della scelta di don Maurizio Scala
«La scelta di Momo - ha detto il cardinale Zuppi - è arrivata in modo sorprendente, in una stagione della vita in cui generalmente contano di più i bilanci che i progetti». Raggiante, il nuovo sacerdote
Maurizio Scala ha ricordato come la sua vocazione sia nata dalla lunga esperienza di incontro coni poveri insieme a Sant'Egidio: «vorrei tenere insieme il sacramento dell'altare con quello dei poveri - spiega – perché essere sacerdote vuol dire per me fare sentire la vicinanza di
Dio a tutti, soprattutto a chi sente il peso delle ferite della vita».