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Assa, presidente della Siria
Medio Oriente senza pace. L'attacco dei ribelli anti- Assad ad Aleppo incendia la Siria. Il coinvolgimento di diversi Paesi, a partire dalla Russia, rende il quadro – in cui spesso si assiste allo scontro tra tutti contro tutti - molto complicato con una serie di questioni che negli ultimi anni si erano solo raffreddate, ma niente affatto risolte. Mosca, sostenuta dall’Iran, nella nuova crisi siriana si contrappone ad Ankara. La Turchia è considerata la sostenitrice delle forze che si oppongono a Bashar al- Assad.
La conquista del territorio di Aleppo da parte dei ribelli dell’HTS, ex affiliato di al Qaeda in Siria e sostenuto oggi dalla Turchia, dagli Emirati Arabi e dall’Arabia Saudita, è l’elemento di novità in una guerra che non è mai terminata dal 2016. Gli spettri del passato, dunque, con un conflitto che ha già provocato più di 300mila morti e la fuga dalla Siria di oltre 6 milioni di persone, ritornano. Inoltre, quanto sta accadendo negli ultimi giorni non è da considerarsi slegato dalle vicende del Libano, dove rimane la sfera di influenza di Teheran e la tregua siglata la settimana scorsa potrebbe franare da un momento all’altro. Contro le forze antigovernative la Russia e l’Iran hanno incrementato gli sforzi. Il supporto della Guardia rivoluzionaria iraniana contro i ribelli è fornito sul terreno, mentre i cieli vengono controllati dall’aeronautica militare di Damasco con la collaborazione fondamentale degli aerei da guerra russi.
L’Ucraina ha accusato l’Iran e la Russia di essere responsabili dell’escalation siriana. Il ministero degli Esteri ha affermato in una nota che «gli atroci crimini commessi da Assad, da Putin e dagli ayatollah iraniani contro i siriani hanno minacciato la sopravvivenza della Siria come Stato indipendente».
Quattro anni fa Russia e Turchia hanno proclamato il cessate il fuoco nel Nord- ovest della Siria, nella provincia di Idlib ancora controllata dagli oppositori di Assad, con la creazione di un corridoio di sicurezza e pattugliamenti congiunti russo- turchi. Proprio da questa regione è partito mercoledì scorso il primo attacco in direzione Aleppo (una delle città più antiche del mondo) con l’intento di proseguire verso Damasco e sfruttare la situazione di debolezza che sta vivendo il governo di Assad.
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, i combattimenti hanno provocato oltre 500 morti (inclusi una novantina di civili). Il Consiglio di sicurezza dell’Onu oggi discuterà sulla situazione in Siria in una riunione d’emergenza. L’incontro è stato richiesto dal governo di Damasco e sostenuto dai tre membri africani del Consiglio (Mozambico, Sierra Leone e Algeria) e dalla Guyana.
Claudio Bertolotti, direttore di Start In- Sight e ricercatore Ispi ( è anche autore del libro “Gaza underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas”), evidenzia che gli scontri in corso sono il risultato di problemi a lungo accantonati. «Viene confermata – dice al Dubbio Bertolotti – la situazione di instabilità siriana che va avanti da circa tredici anni e ora, dopo un periodo di conflitto a bassa intensità, in cui parti del Paese sono rimaste sotto il controllo di soggetti terzi, a partire da gruppi islamisti, minaccia il regime di Bashar al- Assad. Il conflitto di questi giorni si colloca nel processo di destabilizzazione a livello regionale in cui sono coinvolti tanti attori, che, in maniera diretta e indiretta, sono associati all’Iran». In questo contesto qual è il ruolo della Turchia? «Determinante», risponde Bertolotti, «perché la Turchia ha sempre avuto interesse a destabilizzare il regime di Assad per avere un governo controllato da Ankara invece di avere un nemico che si contrappone agli interessi turchi nella regione e anche agli interessi di sicurezza interna legati alla questione curda. Non dobbiamo dimenticare che in Siria vive e prospera una comunità curda particolarmente attiva dal punto di vista politico e militare».
L’impegno in Medio Oriente non dovrebbe distrarre troppo le forze armate di Mosca coinvolte nella guerra d’aggressione in Ucraina. «Rispetto all’Ucraina – riflette Claudio Bertolotti –, quella siriana è una guerra a bassa intensità con un ridotto impegno in termini di uomini, mezzi e materiali. Però, è sempre una guerra strategica, perché va a tutela di un regime il quale a sua volta garantisce alla Russia lo sfruttamento di alcune basi aeree, funzionali alla sicurezza siriana, e del porto di Tartus. In quest’ultimo caso si tratta di un sito rilevante per la Russia per imporre la propria presenza nel Mediterraneo».
Quanto sta avvenendo in Siria è monitorato con attenzione dagli Stati Uniti. Il neoeletto presidente statunitense, Donald Trump, troverà al suo insediamento a gennaio un altro dossier delicato. «Si sta riproponendo – conclude Bertolotti - lo stesso scenario che Trump dovette affrontare con la sua prima amministrazione, cioè quello di una Siria destabilizzata in cui gli americani giocarono un ruolo determinante per il supporto fornito alla componente curda in particolare. Oggi, con Biden, c’è una crescente preoccupazione in riferimento alla volontà di intervento statunitense in funzione di contenimento delle milizie sciite a sostegno di Bashar al- Assad. Il rischio è che la Siria precipiti di nuovo nella guerra civile, con una componente laica che si contrapporrebbe a quella ideologicamente schierata sul fronte dell’islamismo».