PHOTO
La violenza contro le donne come problema politico e culturale, risolvibile solo facendo rete. È questo uno dei punti fermi emersi dalla prima delle due giornate romane per le pari opportunità organizzate dal Cnf, che ha incontrato le rete dei Comitati per le pari opportunità. Un lavoro prodromico ad una risoluzione per verificare cosa è stato fatto e cosa si può fare. «Nonostante la presenza di tanti strumenti, qualcosa non funziona - ha spiegato l’avvocata Maria Masi -. È ora di fare rete per ottenere risultati». Una sfida raccolta da tutta l’avvocatura. «Nessuno può mettere in discussione il tema delle pari opportunità - ha detto il presidente del Cnf Andrea Mascherin -, ma le opportunità a disposizione sì».
La violenza contro le donne come problema politico e culturale, contro il quale avvocati, associazioni e Comitati per le pari opportunità possono combattere solo facendo rete con le buone prassi. È questo uno dei punti fermi emersi dalla prima delle due giornate romane per le pari opportunità organizzate dal Consiglio nazionale forense, che ha incontrato le rete dei Cpo nella sede della Pontificia università della Santa Croce. Un lavoro prodromico ad una risoluzione per verificare cosa è stato fatto e cosa si può fare ancora, ha evidenziato l’avvocata Maria Masi, consigliera del Cnf, coordinatrice dei lavori che hanno impegnato in una tavola rotonda le avvocate Dominique Attias ( Francia), Nedia Lamouri ( Tunisia), Eduard Digore ( Moldavia), Raziye Ozturk ( Turchia), Zahra Nassime Essabah ( Marocco) e Filomena Pelaez ( Spagna), convinte che la sinergia tra avvocati possa aiutare a risolvere il problema. «Nonostante la presenza di tanti strumenti sul territorio, qualcosa non funziona, visti i tanti casi di violenza all’ordine del giorno - ha spiegato Masi -. È ora di tentare di fare rete per ottenere qualche risulta- to». Un motto che ha caratterizzato tutta la giornata, durante la quale è stato evidenziato il problema di una cultura che continua a legittimare comportamenti e stereotipi alla base della violenza contro le donne, contro la quale si oppongono i centri antiviolenza. Con la fatica di chi, a corto di risorse, si trova spesso a lottare anche contro l’inerzia delle istituzioni. Un’inerzia contro la quale l’avvocatura ha deciso di battersi. «Il legittimo impedimento delle avvocate in gravidanza è sicuramente il risultato più importante di questa consiliatura del Cnf, a riconoscimento del ruolo delle colleghe per nessun motivo discriminabile - ha sottolineato il presidente del Cnf Andrea Mascherin -. Nessuno può mettere in discussione il tema delle pari opportunità, mentre si possono mettere in discussione le opportunità a disposizione per mettere in campo il valore di ciascuno. Bisogna riconoscere uno strumento in grado di garantire questa affermazione di valori». Anche perché, aggiunge Mascherin, «la donna impegnata nelle istituzioni tende ad essere estremamente operativa e concreta e manca di competitività fine a se stessa». Donne al centro dell’avvocatura ma anche al centro del Consiglio superiore della magistratura, come invocato da Paola Balducci, membro laico del Csm, che ha lamentato la presenza di sole due donne nell’organismo di cui fa parte. «Non c’è stata molta voglia e molto coraggio a presentare candidature al femminile - ha evidenziato -. Ma grazie alla nostra presenza ci sono finalmente donne presidenti di Corte d’appello e di Tribunale. Il tema della violenza di genere dovrebbe essere nell’agenda del prossimo legislatore. Ma bisogna partire dalla prevenzione: l’educazione nasce anche in famiglia, dalla scuola e dalla società». Un tema che riguarda anche il linguaggio, sul quale ha messo l’accento Stefania Spanò, ideatrice della mostra “Non chiamatelo raptus”. Immagini che tentano di sfatare un modo di comunicare le cose che non funziona, basato ancora su convinzioni da destrutturare. «Il modo di raccontare la storia è una della prime cose da rompere - ha evidenziato -. Femminicidio non significa “donna uccisa da un uomo”, ci racconta perché. Quello del raptus è un’invenzione, un concetto rassicurante, perché elimina la responsabilità. Ma la violenza può coinvolgere ognuno di noi. Per questo il cambiamento passa anche attraverso il linguaggio» . Uno degli strumenti presentati è quello costituito dalle linee guida per un percorso dedicato alle donne vittime di violenza negli ospedali italiani, illustrato da Lucia Annibali, deputata del Pd e vittima essa stessa della violenza. «Si tratta di un lavoro importante per l’assistenza alle donne che subiscono violenza - ha spiegato alla platea -. Non abbiamo voluto parlare di vittime, perché altrimenti si stigmatizza chi la subisce. Non è qualcosa che definisce la vita della donna, ma qualcosa che le viene inflitto dall’esterno». Le linee guida delineano un percorso che parte dal triage, individuando un codice giallo equivalente che prevede una presa in carico tempestiva da parte di personale formato, passando per l’attivazione di servizi in base al livello di rischi e strumenti per la conservazione e la repertazione delle prove. «È un documento complesso - ha evidenziato - che vuole insegnare agli operatori ad essere responsabili da un punto di vista anche umano». Una delle esperienze raccontate è quella del progetto “Viva Bistrot”, a Poggiomarino, in provincia di Napoli, una bottega nata da un’idea dell’avvocata Rosita Pepe, presidente dell’associazione che gestisce il centro antiviolenza. «L’avvocatura solidale può colmare quei vuoti profondi e dolorosi che spesso le istituzioni stanno lasciando - ha spiegato -. Offrire assistenza psicologica e legale gratuita spesso non basta a donne che non hanno reddito, casa, famiglia. Così è nata l’idea di una cooperativa sociale, per dare dignità e speranza alle donne con il lavoro. Ma abbiamo registrato l’indifferenza totale delle istituzioni, di chi potrebbe dare una mano e non lo fa. Non c’è la volontà politica di risolvere il problema della violenza sulle donne».