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Il più grande paradosso politico e culturale della rivoluzione islamica del 1979 è che ha avuto come grandi protagoniste proprio le donne, le stesse che oggi sfidano il potere decadente (e i proiettili) degli ayatollah nelle piazze di tutto l’Iran per chiedere libertà e uguaglianza. È vero che sotto il dominio dello Shah Reza Palevi tra la media e piccolo borghesia laica il lavoro femminile era assai diffuso e nessuna aveva l’obbligo di indossare il velo e altri simboli di appartenenza religiosa. Ma la loro presenza nella vita pubblica era pressoché irrilevante. Impossibile trovare una donna in posizioni importanti, nella politica, nell’economia, nel mondo accademico o intellettuale. Potevano godere di uno stile di vita “occidentale”, ma basta che stessero zitte e buone al loro posto. Il grande laboratorio di protagonismo femminile è stata proprio l’opposizione e la lotta al regime corrotto e autoritario dei Palevi e alla sua feroce polizia segreta in cui le donne sono uscite per la prima volta dalla sfera privata. Alcune di loro provenivano dalle classi istruite delle grandi città, militanti di gruppi apertamente di sinistra guidati dal Tudeh, il partito comunista iraniano. Altre dalle componenti nazionaliste e laiche, una piccola minoranza dalla guerriglia. Ma la gran parte no, era al contrario espressione dei ceti più poveri e tradizionalisti della società, donne religiose e velate che hanno invaso le piazze, chiamate a raccolta dallo stesso Khomeini che dall’esilio di Parigi le invitava a violare il coprifuoco e a manifestare contro la dittatura. Alla chiamata hanno risposto in milioni e probabilmente nessuna aveva mai partecipato prima a una manifestazione politica, ma vengono coinvolte nel movimento di cui diventano un pilastro. Con la caduta del regime e il ritorno in patria di Khomeini si apre una breve e illusoria stagione di speranze. Ma il Partito islamico repubblicano, trascinato da una impressionante base popolare, vince largamente le elezioni e, come spesso accade, mette fuorilegge i rivali più pericolosi: comunisti e nazionalisti. Un referendum dall’esito scontato poi cambia la costituzione fondando ufficialmente la repubblica sciita e cambiando brutalmente il volto della società iraniana: vengono bandite le bevande alcoliche, il gioco d’azzardo, iniziano le persecuzioni nei confronti degli omosessuali, alle donne viene imposto l’obbligo di indossare il velo negli spazi pubblici. L’offensiva contro i diritti è impressionante: l’età legale del matrimonio per una ragazzina viene abbassata a nove anni, su autobus, treni, uffici, maschi e femmine sono rigorosamente separati. E Khomeini, che fino all’anno precedente parlava di «ruolo attivo» della donna nella vita politica, ritorna senza posa a parlare di mogli e angeli del focolare. Un altro paradosso dell’Iran islamista riguarda l’impegno civile dei gruppi di organizzati di femministe che nel corso degli anni è addirittura aumentato nonostante la cappa della censura e la costante repressione da parte del clero. Per tutti gli anni 80 le donne continuano infatti a scendere in piazza pretendendo più diritti e libertà. Gli ayatollah saranno anche fanatici ma non sono stupidi e sanno che qualche concessione devono pur farla. Nel 1987, il responsabile dell’Alto consiglio della rivoluzione culturale e futuro presidente Hachemi Rafsandjani, crea un ufficio degli affari femminili a che faciliterà negli anni successivi l’accesso delle donne a professioni un tempo negate come l’insegnamento universitario, la medicina, l’ingegneria, l’avvocatura. Anche il codice di famiglia si ammorbidisce e il divorzio diventa possibile per le donne in caso di violenze domestiche. Negli anni 90 c’è un’impennata di occupazione femminile e le ragazze sono più numerose dei ragazzi nelle iscrizioni universitarie. Il riformista Kathami accende nuove speranze, spuntano anche le prime deputate (17 su 250 seggi nel 1997) e vengono conquistati altri diritti. Ormai da decenni le donne sono protagoniste in tutti i settori della vita pubblica iraniana, eppure l’evoluzione sociale non corrisponde al cambiamento politico. La guida suprema Khamenei ha sempre contrastato ogni forma di emancipazione appoggiandosi sulle frange più reazionarie e tradizonaliste e utilizzando la famigerata polzia religiosa per far rispettare i dettami della legge coranica. Ma ora, a 43 anni dalla caduta dello Shah l’Iran sembra pronto per un’altra Rivoluzione.