Il governo italiano fa la ruota: «Lo avevamo detto che Trump mirava solo a trattare». L'amministrazione della Casa Bianca: «Tutto previsto. Tutto calcolato. Tutto geniale». I retroscena da Washington raccontano una storia diversa. Il presidente ha deciso la retromarcia di fronte a tre elementi che minacciavano di terremotare gli Usa sui fronti più delicati e nevralgici. Non il rischio di un dissenso di massa. Non i consigli di tutto il mondo. Non la politica. Hanno vinto i mercati e ha vinto la geopolitica. Il calo del dollaro e l'impennata nella rendita dei titoli di Stato, bene-rifugio per eccellenza, hanno fatto balenare l’ombra di una crisi del dollaro come moneta di riserva mondiale. I contatti tra Ue e Cina, più minacciosi e micidiali dei controdazi, hanno messo il bizzoso Donald di fronte allo spettro di un asse tra Cina-Ue, e anzi Cina-resto del mondo, che avrebbe reso ancora più difficile la già difficilissima sfida con la Cina di Xi. I mercati e la geopolitica, i rapporti di forza: le famose “carte” come le definisce Trump.

E’ probabile che abbia inciso molto un altro elemento. Trump aveva giustificato la sua sfida sui dazi con un’argomentazione non del tutto infondata ma certamente troppo semplificata. Aveva infatti sostenuto di voler difendere non Wall Street, la borsa e gli azionisti grandi e piccoli, ma Main Street, l’economia reale e soprattutto quella fortissima minoranza, più o meno il 38% degli americani che alla borsa non è interessata non avendo risparmi da investire e anzi faticando spesso senza successo per arrivare a fine mese. Inutile ricordare che quella fascia di popolazione è la base stessa del successo elettorale del presidente. Solo che Main Street non è un blocco monolitico e una sua parte sostanziale finisce per essere interessata alla borsa attraverso gli investimenti dei fondi pensioni. Non a caso JD Vance, il vicepresidente che sembra acquistare sempre più voce in capitolo, avrebbe suggerito al capo di arretrare per impostare una strategia «più strutturata». Reso edotto dall’esperienza scottante di questa settimana Trump cambierà certamente strada ma nulla garantisce che abbandoni i suoi obiettivi e nulla permette di anticipare quale via sceglierà di seguire.

Proprio perché l’uomo più potente del mondo naviga alla giornata e si conferma come del tutto imprevedibile il sospiro di sollievo per i 90 giorni di tregua non fuga affatto le paure e distende solo in parte i nervi in tutti i palazzi che nel mondo contano qualcosa. La trattativa a questo punto è certa e per quanto assurdo possa apparire sino a mercoledì sera la possibilità stessa di un negoziato era assolutamente in forse.

A quella fila che raccontava sfilasse ordinata per baciargli il deretano Trump cercherà di imporre prezzi esosi, forse da usura. Nella sua strategia ci sono trattative bilaterali diverse con ogni Paese, inclusi i 27 dell’Unione europea. Ma un paio di elementi comuni saranno presenti su tutti i tavoli e si tratta di quelli più pesanti: le armi e il gas liquido. Il sito ottimamente informato Politico anticipava ieri la richiesta all’Europa di un acquisto di gas liquido per 350 mld di dollari. L’esborso richiesto per le armi dovrebbe essere a propria volta pesante anche se preoccupa l'Italia meno del gas. Il rifornimento di armi americane era infatti comunque previsto e la trattativa si orienterà solo sui quantitativi. Rendersi dipendenti dal gas americano, molto più caro sia alla fonte che nella lavorazione successiva e anche di qualità inferiore, sarebbe per i Paesi che dovranno trattare con il tycoon un boccone molto meno digeribile.

E' poi prevedibile che Trump chieda in cambio della sua “tregua” uno schieramento netto contro la Cina e a fianco degli Usa in quella che è la vera guerra iniziata nella tumultuosa ultima settimana. Ma per tutti, inclusi i Paesi dell'Unione, non sarà facile e anzi sarà probabilmente impossibile rinunciare a cercare un mercato alternativo a quello americano avendo a che fare con un presidente americano sulla cui affidabilità nessuno oggi scommetterebbe un soldo.

Gli scogli non sono superati. I rischi restano alti e tuttavia l’euforia di ieri non è ingiustificata. I mercati, la finanza e la geopolitica hanno messo in cruda luce i fianchi esposti del tycoon. La trattativa con lui sarà difficile e probabilmente la prima ad accorgersene sarà Giorgia Meloni giovedì prossimo a Washington. Ma ora Trump dovrà giocare sapendo che le controparti “le carte” ce le hanno e anche molto pesanti.