PHOTO
«La pubblicazione di volumi come questo è un dovere, perché servono a tutta la società civile». Con queste parole la senatrice a vita e testimone della Shoah Liliana Segre ha salutato la pubblicazione del libro Razza e inGiustizia, gli avvocati e i magistrati al tempo delle leggi antiebraiche, presentato ieri in Sala Koch al Senato e pubblicato grazie al lavoro congiunto di Consiglio Superiore della Magistratura, Consiglio Nazionale Forense, Senato della Repubblica e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, a ottant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali da parte del regime fascista.
A coordinare i lavori è intervenuto il direttore dell’ufficio Studi del Csm, Piergiorgio Morosini e la pubblicazione, curata da Antonella Meniconi e Marcello Pezzetti, è stata introdotta dai saluti istituzionali dei presidenti delle autorità che hanno preso parte alla stesura. La presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati ha descritto il volume come «uno scritto senza retorica, che sottolinea come sia stato complesso e controverso il rapporto del mondo giuridico con le leggi razziali. Il nostro obiettivo va oltre la simbolica condanna del razzismo: in questo amaro ottantesimo anniversario delle leggi razziali, ci troviamo ad assumere una responsabilità verso i giovani, a cui dobbiamo offrire la possibilità di una comprensione critica degli avvenimenti che hanno segnato la storia recente del Paese». Le pagine, infatti, «sollevano il velo dai silenzi di quel mondo sulle posizioni razziali del regime. Molto resta da fare per un’onesta analisi degli eventi: è un percorso doloroso ma necessario e da giurista non posso non ricordare la discriminazione dei colleghi ebrei e l’atteggiamento compromissorio rispetto alle leggi razziali. Fare i conti con la storia è obbligo morale per ogni individuo e in particolare per i rappresentanti istituzioni. Trasformiamo la memoria storica in strumento di progresso civile».
Anche dal vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, è arrivato un appello a preservare la memoria storica: «L’abisso nel quale precipitò l’ordinamento giuridico costituisce un monito per l’oggi: le guarentigie che i Costituenti seppero scolpire nella Carta vanno curate costantemente e, tra di esse, vi è la necessità della strenua difesa dell’autonomia dell’ordine giudiziario da ogni altro potere; è questa una garanzia insopprimibile per la tutela della libertà e dei diritti dei cittadini». Spiegando poi l’adesione del Csm al progetto, Legnini ne ha sottolineato l’attualità. «Le immagini scelte, nella loro immediatezza, testimoniano di un clima di violenza che genera assuefazione e paralizza le reazioni. È questa una parabola tipica dei percorsi distruttivi delle democrazie. La disamina attualizzata dell’immane tragedia che segnò quel tempo, ci aiuta a riconoscere i prodromi e i tentativi di riproposizione della cultura della discriminazione e dell’assuefazione» .
Il presidente del Cnf, Andrea Mascherin, ha poi evidenziato come «la collaborazione tra avvocati e magistrati è qualcosa di più di una formalità. Ci commuoviamo e ci indignamo per ciò che avvenne allora, ma oggi guai a pensare che non ci riguardi più. L’attualità non va tralasciata: il presente è una nostra responsabilità, perchè è ciò che disegnerà il futuro». Mascherin ha notato che «i segnali di pericolo ci sono già: il pericoloso linguaggio d’odio; un dibattito sociale e politico che verte su negazione del diritto altrui a esprimere la propria idea, che comporta automaticamente l’affermare se stessi come personalità superiore. Questi atteggiamenti sono alla base di ogni forma di disuguaglianza. Nel mondo del diritto gli episodi sono giornalieri: sui Social si nega autonomia della giurisdizione, giudice non è libero di assolvere o condannare in modo difforme dall’opinione pubblica del web; l’avvocato che difende viene minacciato perchè si pensa che non tutti abbiano diritto ad essere difesi». Proprio per combattere questi fenomeni e per non dimenticare le sofferenze delle leggi razziali che il volume testimonia, «avvocatura e magistratura devono lavorare insieme, perché sono da sempre tutela dello stato di diritto nei momenti più difficili».
La presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, ha infine ricordato come «il tormento di oggi sta proprio nel fatto di non saper leggere fatti e avvisaglie, il timore è il rischio che la nostra società superi di nuovo quella linea rossa invisibile, senza che si attivino le garanzie costituzionali». Sul piano giurdico, Di Segni si è interrogata su «quando è il momento di dire no? Di non rispettare una legge dello Stato perchè contraria al proprio senso di umanità?» e ha ricordato «tutti i giuristi, che sono stati schiacciati in quegli anni dallo stesso diritto che sognavano di applicare».
Anche il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha voluto mandare un proprio saluto, ricordando «il contributo di quegli avvocati e magistrati coraggiosi che, dando vita a vere forme di resistenza passiva e di protesta civile, scelsero di non applicare le direttive del regime fascista, finendo in alcuni casi per essere privati della possibilità di esercitare la propria professione, ma tentarono di salvaguardare la dignità e l’integrità morale della magistratura, della classe forense e dell’intero Paese».
Alla presentazione ha preso parte, con un lungo intervento in lingua ebraica, anche la presidente della Corte Suprema d’Israele, Esther Hayut. «La storia dimostra come facile usare giurisdizione per avallare ideologie che deformano la legge. La Shoah è il prodotto di un odio profondo e radicato, che cambia forma nella storia ma accompagna il mio popolo da anni, la più antica forma di pregiudizio che esista», ha detto, per poi ricordare gli atti «eroici di compassione umana di chi non è rimasto a guardare davanti alla barbarie in atto» e sottolineare come proprio l’Olocausto abbia giocato un ruolo fondamentale anche nella sua vita personale. «Noi nuove generazioni abbiamo obbligo di vivere la nostra vita e ricordare ciò che accadde, per creare una società giusta e garantire i valori democratici. Un dovere ancora più forte per noi che operiamo con il diritto».
Un lungo applauso ha poi accolto l’intervento della senatrice a vita Liliana Segre, che al volume ha contribuito con una prefazione. «Quando avevo 8 anni mi si chiusero le porte della scuola, poi mi si aprirono quelle del lager. Ottant’anni dopo, mi si sono aperte le porte del Senato. Così, posso dire che la mia vita non sia trascorsa inutilmente», ha esordito, raccontando il suo percorso personale. «La mia scelta di raccontare è cominciata quando avevo 60 anni, perchè allora ho capito di non aver fatto il mio dovere di testimoniare la Shoah», e da allora non si è mai fermata, a partire dalle scuole, dove racconta ai giovani che «Da Auschwitz non si esce mai. Il mio numero, il 75190, è dentro di me, sono io ed è l’essenza di ognuno di noi che è tornato». Infine, Segre ha sottolineato come il suo impegno da senatrice si rivolga soprattutto alla scuola, perchè «la storia del Novecento abbia collocazione nella formazione dei ragazzi, per evitare di ricadere in certi errori e per aprire la mente a parole come la solidarietà. Il linguaggio d’odio si combatte con la cultura». Infine, ha voluto ricordare l’importanza, dopo il periodo buio delle leggi raziali, della nostra Costituzione repubblicana, «baluardo contro chi ha la forza, ma non la ragione».
Infine, gli interventi conclusivi sono stati della curatrice del volume, la professoressa Antonella Meniconi, e del presidente emerito della Corte Costituzionale, Riccardo Chieppa, il quale ha voluto portare la sua testimonianza: «Io sono del 1926, uno dei superstiti della mia generazione, che ha visto tutto per come si è svolto», ha premesso raccontando la sua esperienza a partire dagli anni della scuola. Poi ha richiamato letteralmente uno dei passi del discorso con cui il presidente del Cnf ha aperto l’anno giudiziario: «Se tarlo della cultura che ha prodotto quell’ignominia si ripresenta oggi con mancanza di solidarietà, priorità al profitto sul diritto, con l’insinuazione di linguaggio di odio e indifferenza nei confronti degli emarginati, richiamo di assuefarci al sentire solo parole contro, perchè troppo spesso manca l’attitudine al dialogo».