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«Roma è la città dei ponti, mai dei muri». È Papa Francesco a pronunciare queste parole, un’esortazione rivolta alla sindaca Virginia Raggi e a tutta l’assemblea capitolina dentro il cuore pulsante della politica di Roma, l’aula Giulio Cesare. Una visita durata poco più di due ore, quella del Pontefice, che ha approfittato dell’occasione per rivolgere ancora una volta un appello sul tema dei migranti, invitando la città, a partire dalle istituzioni, «ad affrontare questa sfida epocale nel solco della sua nobile storia, ad adoperare le sue energie per accogliere e integrare, per trasformare tensioni e problemi in opportunità di incontro e di crescita».
Accolto dagli squilli di tromba dei Fedeli di Vitorchiano, dopo un colloquio privato con la sindaca, Papa Francesco ha consegnato una copia del libro “Ripensare il futuro dalle relazioni” con i discorsi sull’Europa, per poi pronunciare il proprio discorso, che parte dalla «originale concezione del diritto» modellata sulla sapienza pratica, di cui Roma è patria. Una storia lunga quasi 2.800 anni, durante i quali la città «ha saputo accogliere e integrare diverse popolazioni e persone provenienti da ogni parte del mondo, appartenenti alle più varie categorie sociali ed economiche, senza annullarne le legittime differenze, senza umiliare o schiacciare le rispettive peculiari caratteristiche e identità».
Roma ha invece saputo «far emergere il meglio di ognuna e a dar forma – nel reciproco dialogo – a nuove identità». Un discorso che richiama quello pronunciato per la giornata mondiale della Pace, quando ha ammonito la politica e i discorsi di odio nei confronti dei migranti, ritenuti radice di ogni problema, ribadendo il fondamento della pace: il rispetto di ogni persona, indipendentemente dalla propria storia.
L’invito alla città, che ha salutato affacciandosi sui Fori Imperiali, è quello di rimanere fedele alla propria storia, alla propria stessa natura, quale cerniera «tra il nord continentale e il mondo mediterraneo», tra civiltà diverse, tra potere spirituale e temporale, rappresentando «un enorme scrigno di tesori spirituali, storico- artistici e istituzionali». Ma è anche un organismo delicato, «che necessita di cura umile e assidua e di coraggio creativo per mantenersi ordinato e vivibile, perché tanto splendore non si degradi, ma al cumulo delle glorie passate si possa aggiungere il contributo delle nuove generazioni, il loro specifico genio, le loro iniziative, i loro buoni progetti».
Il richiamo all’abbattimento dei confini è costante nelle parole di Bergoglio, che descrive una città dalla «vocazione universale, portatrice di una missione e di un ideale adatto a valicare i monti e i mari e ad essere narrato a tutti, vicini e lontani, a qualsiasi popolo appartengano, qualsiasi lingua parlino e qualunque sia il colore della loro pelle», caratteristiche sintetizzate dal Campidoglio, insieme alla Cupola michelangiolesca e al Colosseo. Servono le giuste risorse, materiali e spirituali, per governare tanta storia e tanta bellezza. Ma soprattutto, afferma il Pontefice, è necessario che Roma «si mantenga all’altezza dei suoi compiti e della sua storia, che sappia anche nelle mutate circostanze odierne essere faro di civiltà e maestra di accoglienza, che non perda la saggezza che si manifesta nella capacità di integrare e far sentire ciascuno partecipe a pieno titolo di un destino comune».
È un invito rivolto a tutti, quello di Bergoglio. Non solo alla politica, ma anche ai cittadini, anche e soprattutto per non dimenticare le persone «che per qualsiasi ragione si trovano ai margini, quasi scartate e dimenticate». E lo fa ricordando il Convegno “sui mali di Roma”, che 45 anni fa si impegnò a ad affrontare le reali condizioni delle periferie urbane, dove erano giunte masse di immigrati provenienti da altre parti d’Italia. «Oggi quelle e altre periferie hanno visto l’arrivo, da tanti Paesi, di numerosi migranti fuggiti dalle guerre e dalla miseria - afferma il Papa - i quali cercano di ricostruire la loro esistenza in condizioni di sicurezza e di vita dignitosa».
Ed allora l’impegno non può che rimanere immutato: «Roma, città ospitale, è chiamata ad affrontare questa sfida epocale nel solco della sua nobile storia». Un invito a «superare le paure che rischiano di bloccare le iniziative e i percorsi possibili», che potrebbero far fiorire la città, affratellare e creare occasioni di sviluppo, tanto civico e culturale, quanto economico e sociale». Ma Bergoglio sa anche di trovarsi in un’Aula che vive un momento delicato, dopo lo scandalo corruzione che ha travolto la giunta della sindaca. Non pronuncia mai la parola corruzione, ma parla tra le righe di etica, rivolgendo un augurio per confermare «le migliori tradizioni di Roma e la sua missione», attraverso «una rinascita morale e spirituale della Città». E Virginia Raggi, prima di raccogliere la benedizione del Pontefice, ha parlato di una città «aperta e plurale», con le «braccia sempre aperte al mondo». Una «città aperta, città del multilateralismo e del multiculturalismo» e a breve sede dell’Assemblea Parlamentare del Mediterraneo. Ma anche città della solidarietà, «grazie all'attività di migliaia di volontari e a quella di centinaia di associazioni».