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Una scossa di terremoto in Cile non fa notizia, ma quello di questi giorni è un terremoto politico. L’intensità è bassa, la magnitudo profonda, le ripercussioni lievi. Ma l’onda d’urto è notevole e può far esplodere la bomba che tutti temono, a Santiago: la memoria. Le scosse di avvertimento di questo terremoto le ha date, com’è nei fatti che sia, l’opposizione. L’ex Presidente della Repubblica, Michelle Bachelet, forte dei numeri che disattendono l’invocata crescita economica, ha fatto pesare al governo di destra del Presidente Piñera la delusione di cui i mercati danno riprova. L’altalena del rame, autentico termometro dell’economia cilena; il Peso cileno che non si apprezza; la disoccupazione che sul lungo periodo non accenna a diminuire, ed è arrivata alla cifra record del 7.2%: tutti fattori che Bachelet non perde occasione di sottolineare.
Qualche settimana fa al ministro della Pubblica Istruzione, Gerardo Varela, gli studenti di una scuola hanno chiesto fondi perché dai tetti ormai pieni di buchi, pioveva in classe. Varela, già noto come collezionista di gaffes, ha replicato invitando a organizzare una lotteria per spendere il ricavato nelle riparazioni.
Una risposta che dallo Stato è suonata come una beffa. Le proteste – docenti e studenti prima, la Rete poi – hanno portato il Presidente Piñera, che come Presidente della Repubblica è a capo del governo, a ritirare l’incarico al ministro gaffeur.
Piñera ha però calcato la mano e richiamato ben tre ministri, imponendo un rimpasto a sorpresa. Ha cambiato non solo il titolare del ministero della Pubblica Istruzione ma anche quello dell’Ambiente e della Cultura. Quest’ultimo ha strettamente a che fare, in Cile, con la storia politica recente del paese: non a caso uno dei gesti più solenni della Presidenza Bachelet ed emblema del suo ministro della Cultura fu la costruzione del gigantesco Museo della Memoria e dei Diritti Civili, un centro culturale che ogni giorno porta migliaia di visitatori al cospetto di camere di tortura, foto delle fosse comuni e testimonianze di tutti i crimini commessi dalla disumana dittatura di Pinochet.
Cambia dunque il ministro della Cultura e per guardarsi le spalle Piñera pensa bene di nominare ministro il suo ghost- writer, Mauricio Rojas. Un comunicatore politico vissuto a lungo fuori dal Cile, rientrato due anni fa per lavorare – appunto – alla campagna elettorale di Piñera. E forse tanto distratto dalle cose del mondo da aver sottovalutato l’aspetto della memoria, che in Cile rimane una mina inesplosa, tutta da disinnescare.
Ci sono desaparecidos di cui non si conosce il luogo di sepoltura. Mancano le carte dei processi politici. E un mare di funzionari, impiegati, militari e agenti di polizia implicati fino al collo nelle attività del regime ne sono usciti senza alcun tipo di sanzione, ed anzi hanno continuato – in certi casi: continuano – ad esercitare il loro lavoro come niente fosse.
Mauricio Rojas – lo spin doctor – non aveva di quegli scheletri nell’armadio, per carità. Ma la Rete ritrova di noi cose che noi stessi avevamo dimenticato.
Come quella sua scivolata sul Museo della Memoria, definito, in tempi non sospetti, “un montaggio”.
Come dire: una ricostruzione artificiale ed eccessiva, montata. Tempo 24 ore e il neo- ministro finisce giubilato da un tweet storming che si rivolge anche alla piazza. “Tutti al Museo”, è la parola d’ordine. E quindicimila cileni affollano all’improvviso il piazzale. Improvvisano un concerto. Si alternano ai megafoni. Tornano a respirare l’aria della protesta civile, carica di rabbia. La nomina a direttore dell’agenzia per i Diritti Umani dell’Onu di Michelle Bachelet – arrivata martedì scorso – diventa subito polemica politica interna. “Sembra fatto apposta”, sibila qualcuno dalla maggioranza.
Piñera riconvoca tutti, alza la voce, destituisce il ministro più fulmineo della storia cilena e ricambia il titolare della Cultura, stavolta affidandola ad una archeologa di fama internazionale ben vista dal mondo accademico e al riparo dalle polemiche.
Scosse di assestamento per la nuova destra presidenzialista, si dirà. Intanto il giorno dopo l’autoconvocazione al Museo della Memoria, sono scoppiati undici allarmi bomba in tutto il Cile. Falsi allarmi, telefonate anonime senza conseguenze. Ma il numero undici in Cile significa Pinochet, con il suo golpe dell’ 11 settembre ’73. Tra le avvisaglie della tensione che sfociò nel colpo di Stato, vi furono proprio le ripetute segnalazioni telefoniche di bombe – mai esplose – dell’ottobre 1970. Fu l’inizio della strategia della tensione, il primo colpo di una escalation drammatica.
Chiunque si stia divertendo a minacciare nuove bombe, lo fa nel momento di maggiore instabilità per Piñera, che ha ancora tanti dossier aperti. Decisioni importanti e nomine strategiche. Tra queste, una che ci riguarda direttamente: il Paese latino- americano rimane privo del suo rappresentante in Italia da sei mesi. Dopo che l’ambasciatore Luis Fernando Ayala ha lasciato Roma, la diplomazia cilena è rimasta scoperta. Un vuoto da colmare presto. Come e soprattutto, sperano i cileni, i vuoti di memoria.