Un esito positivo, giunto prima di quanto fosse lecito attendere. La notizia della liberazione della giornalista italiana Cecilia Sala, detenuta in Iran dallo scorso 29 dicembre, è arrivata improvvisa nella tarda mattinata, attraverso una nota della presidenza del Consiglio nella quale si annunciava che la giornalista a era già su un aereo che la stava riportando in Italia.

Ed è rimbalzata immediatamente nel Palazzo, facendo irruzione anche nei lavori parlamentari, come testimonia il fragoroso applauso che ha momentaneamente interrotto i lavori d'aula di Palazzo Madama, dopo l'annuncio dato in tempo reale dalla presidente di turno Mariolina Castellone. «Grazie a un intenso lavoro sui canali diplomatici e di intelligence», si legge nella nota di Palazzo Chigi, «la nostra connazionale è stata rilasciata dalle autorità iraniane e sta rientrando in Italia. Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, esprime gratitudine a tutti coloro che hanno contribuito a rendere possibile il ritorno di Cecilia, permettendole di riabbracciare i suoi familiari e colleghi». «Il Presidente», conclude la nota, «ha informato personalmente i genitori della giornalista nel corso di una telefonata avvenuta pochi minuti fa».

Ma proprio nei capannelli di Palazzo, chi aveva comprensibilmente plaudito alla liberazione della cronista ha iniziato immediatamente a chiedersi quale sia stata la contropartita che ha indotto le autorità iraniane a liberarla con un'accelerazione così forte, quando tutti pensavano che l'intrigo internazionale che stava coinvolgendo, oltre all'Italia e all'Iran, anche gli Usa, non si sarebbe potuto sciogliere prima della fine di gennaio. E cioè quando sarebbe stato chiaro il destino dell'ingegnere Mohammed Adebini Najafabadi, arrestato su indicazione degli Usa allo scalo di Malpensa e attualmente detenuto a Milano. Ciò induce a pensare, anche sulla base di alcune indiscrezioni provenienti da fonti di intelligence e diplomatiche, che il regime degli Ayatollah abbia incassato delle garanzie tali da poter fare la prima mossa.

Da questo punto di vista, la tempistica scelta per il rilascio di Sala assolve alla necessità di non dare l'impressione smaccata di uno scambio di ostaggi, cosa che sarebbe avvenuta nel caso di una liberazione in contemporanea o quasi tra i due, cosa che sia Roma che Teheran vogliono evitare. Ma sul fatto che l'ingegnere iraniano accusato dagli Usa di aver fornito componenti ai pasdaran iraniani utili a compiere un attacco coi droni che ha provocato tre vittime in una base americana in Giordania non sarà consegnato a Washington, vi sono pochi dubbi.

Questo è sempre stato il fulcro della trattativa triangolare che si è svolta nelle scorse settimane, e ha vissuto il suo momento cruciale nella tenuta in Florida del presidente eletto americano Donald Trump, quando con un vero e proprio blitz diplomatico Giorgia Meloni ha affrontato tutti i nodi della questione vis-à-vis col tycoon americano. E, verosimilmente, ha strappato il nulla osta del prossimo inquilino della Casa Bianca a procedere in un senso contrario ai desiderata dell'intelligence statunitense.

Per questo esito, stando ai rumors che si sono susseguiti nelle ultime ore, avrebbe anche giocato a favore il fatto che Trump sia smanioso di mandare segnali di rottura rispetto al cosiddetto deep State, e che nei suoi programmi vi sia un corposo rinnovamento di tutti gli apparati, quasi a voler “regolare i conti” aperti dopo le elezioni del 2020. Ne consegue che non faccia parte delle priorità del presidente eletto quella di mostrarsi ossequioso nei confronti del blocco dirigenziale legato alla stagione di Joe Biden.

Allo stesso tempo, i canali diplomatici italiani si sarebbero però cautelati anche con l'attuale presidente (in arrivo a Roma nel weekend), prospettando la non concessione dell'estradizione e l'auspicio di non entrare in rotta di collisione con Trump su questa vicenda. Detto questo, se le indiscrezioni relative allo sviluppo della trattativa diplomatica saranno confermate, resta ora da comporre in modo quanto più fluido possibile la road map verso il rilascio di Abedini, per il quale c'è più di una strada percorribile.

Un paletto posto da Trump sarebbe quello che la soluzione per l'ingegnere iraniano venga trovata entro il 20 gennaio, giorno del cambio della guardia a Washington, in modo da non far gravare sulla nuova amministrazione quella che l'opposizione nel Congresso potrebbe far passare come una resa dei repubblicani agli Ayatollah. Cinque giorni prima di quella scadenza, i giudici della Corte d'Appello di Milano si riuniranno per decidere se accogliere o meno la richiesta di arresti domiciliari avanzata dall'avvocato italiano di Abedini, che ha indicato un eventuale indirizzo milanese. Nel caso che le cose si complichino, resterebbe sempre sul tavolo l'opzione della revoca dell'arresto da parte del ministro della Giustizia Carlo Nordio.

Nel primo pomeriggio, una serie di indiscrezioni giornalistiche uscite a ridosso di un incontro del Guardasigilli con la premier a Palazzo Chigi riferivano che tale atto fosse in procinto di essere adottato da Nordio, il quale però ha tenuto a precisare che il suo faccia a faccia con Meloni riguardava esclusivamente la questione degli emendamenti al ddl sulla separazione delle carriere, in esame a Montecitorio, e di alcune criticità legate all'applicativo APP Giustizia.

Al di là dei dossier che sono stati esaminati, la prudenza sul caso Abedini è d'obbligo, anche perché lo stesso ministro ha tenuto a sottolineare di non voler procedere a invasioni di campo rispetto alle prerogative dei giudici. Unanimi e bipartisan le reazioni politiche alla liberazione di Sala, che è atterrata alle 16 e 15 a Ciampino dove ad attenderla c'erano, tra gli altri, Meloni, il ministro degli Esteri Tajani e il sindaco di Roma Roberto Gualtieri. A partire dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che si è complimentato con la premier per il successo della trattativa felicemente condotta dai vertici del governo e dai servizi segreti (a prelevare Sala a Teheran c'era il direttore dell'Aise direttore dell’Aise Giovanni Caravelli).