PHOTO
Se è vero che quella al coronavirus è una guerra, Israele ha preso alla lettera questa affermazione. Lo stato ebraico infatti sta impiegando i servizi segreti del Mossad e dello Shin Bet (in alcuni casi anche l’esercito) per contrastare l’emergenza sanitaria. In realtà in Israele i casi accertati sono stati 11mila con 103 morti. Numeri di gran lunga inferiori a quelli dei paesi europei o agli Stati Uniti. Era stato Benjamin Netanyahu ad attivare i servizi, innanzitutto per usare le tecnologie sofisticate di sorveglianza e spionaggio in modo da monitorare costantemente gli spostamenti delle persone contagiate. Lo Shin Bet soprattutto ha cominciato a mettere sotto controllo i cellulari di molte persone entrate in contatto con potenziali soggetti infetti. Un’operazione che ha immediatamente provocato la reazione delle opposizioni, il pericolo di palesi violazioni della privacy o peggio è abbastanza evidente anche perché la misura non è passata al vaglio del Parlamento. Ora invece il Mossad si sta occupando dell’acquisizione di materiale medico, dalle mascherine ai ventilatori per i reparti di terapia intensiva. Si parla soprattutto di mezzo milione di dispositivi di protezione per il personale medico sanitario. Il New York Times ha cercato di ricostruire la genesi di questo utilizzo dell’intelligence. Già nello scorso febbraio infatti gli ospedali della capitale Tel Avivi avevano capito di non aver materiale sufficiente per i pazienti e, come riporta il quotidiano Usa, il direttore dello Sheba Medical Center, si era rivolto al capo del Mossad Yossi Cohen. Fu stilata una lista di ciò che serviva e affidato il compito di riempire i vuoti agli agenti israeliani. Una struttura alla quale partecipa anche il ministero della Salute ma coordinata dai servizi.Ecco allora arrivare in Israele ventilatori e tamponi in quantità. Ma come è stato possibile ciò, quando tutto il mondo si trova a corto anche di semplici mascherine? Le circostanze sono da chiarire ma l’ipotesi più acclarata è che il servizio segreto abbia usato la sua influenza accordandosi con paesi non propriamente democratici e con i quali Israele non ha rapporti formali. Secondo alcune inchieste portate avanti anche dal Jerusalem Post, sarebbe stato lo stesso Cohen a parlare direttamente con capi di stato stranieri per concordare il reperimento del materiale. Quali siano state le contropartite (denaro, accordi commerciali o latro?) non è attualmente un dato pubblico.