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Novanta giorni di governo e il quadro che riassume la parabola del governo è già delineata in modo nitido e quasi certamente non passibile di cambiamenti: è un assedio. Impossibile vaticinare quanto resisteranno gli assediati, premier ministri e sottosegretari, anche perché le circostanze, spesso imprevedibili, giocano in questi casi un ruolo fondamentale. Però che un governo nato sotto il segno della controffensiva sia rinchiuso dopo meno di 100 giorni in un fortino circondato e che non dia neppure il minimo segno di poter rompere l'assedio è elemento più indicativo del numero di mesi o forse, ma è improbabile, di anni che ci vorranno perché la posizione sia espugnata. In parte dipenderà dalle divisioni che lacerano il fortilizio cinto d'assedio: se proseguiranno o peggioreranno la resistenza sarà breve, in caso contrario si protrarrà più a lungo. Ma sempre di resistenza si tratterà.
Va chiarito che le forze assedianti non sono rappresentate solo una destra che, dopo l'iniziale flessione, ha retto il colpo della sconfitta d'agosto. La realtà, i problemi reali che un governo nato fragilissimo non è in grado di affrontare, pesano anche di più e in fondo è da quella incapacità tangibile che la destra di Salvini e Meloni trae la propria rinnovata forza. Valga per tutti il quadro dell'oggi. Comunque vada a finire, la drammatica sfida intorno alla sorte dell'Ilva sarà un colpo durissimo.
Il governo, probabilmente orientato con la dovuta discrezione dal Colle, ha giocato bene la sola carta di cui disponesse, dopo il clamoroso errore commesso eliminando lo scudo penale e offrendo a Mittal l'occasione perfetta per levare le tende: ha trovato un sostegno nazionale unanime e sinergico intorno alla decisione di non chiudere comunque, a qualsiasi costo, l'Ilva. Con ogni probabilità proprio la chiusura era l'obiettivo della multinazionale. Svanito quel miraggio, le offerte del governo rappresentano per i franco- indiani comunque un ottimo risultato, pur se non quello di massima desiderato. Se la trattativa andrà a buon fine, il prezzo per lo Stato italiano sarà esoso da tutti i punti di vista. Se così non sarà dar seguito all'impegno di non chiudere l'Ilva sarà ancora più oneroso e si tratterà di una sfida dall'esito molto incerto comunque. Le divisioni tra i partiti di governo sullo scudo penale hanno naturalmente peggiorato la situazione, ma il problema era reale, lo resterà comunque vada a finire e non dipende dalle lacerazioni della maggioranza.
Il guaio grosso della riforma del Mes, il Fondo Salvastati, è a sua volta solo in apparenza conseguenza delle divisioni tra Pd e M5S. La nota sarebbe stata comunque dolente. La riforma è stata concordata nel momento per l'Italia peggiore, sotto la spada di Damocle della procedura d'infrazione e nonostante le rassicurazioni d'ordinanza del ministro Gualtieri il Mes riformato, anche in assenza dell'obbligo automatico di ristrutturare il debito per accedere agli eventuali prestiti del Fondo, è senza dubbio una pistola puntata e sempre pronta ad aprire il fuoco. Bloccarla con il veto, sarebbe però disastroso. Implicherebbe un drastico peggioramento dei rapporti con Bruxelles e scatene- rebbe probabilmente la speculazione, perché i mercati leggerebbero il veto come ammissione che il rischio di default c'è. Ma firmare disciplinatamente la riforma non sarebbe un problema solo per il rischio, devastante, di voto contrario dell'M5S in aula al momento della ratifica. Se anche il dissenso rientrasse e tutto filasse liscio, in una situazione di conclamata insolvibilità del debito, probabilmente già nella prossima primavera si renderebbe necessaria una manovra correttiva. Conte tenterà la carta del rinvio. Chiederà all'Eurogruppo di posticipare la riforma e, sempre in nome della barriera anti Salvini, non è escluso che lo ottenga. Ma si tratterà appunto di un rinvio. Polvere sotto il tappeto. Più che le divisioni della maggioranza, è la sua inconsistenza quanto a progettualità comunque che rende impossibile fronteggiare le emergenze come quelle dell'Ilva e del Mes, esempi macroscopici di una quadro generale. Le lacerazioni non determinano la situazione d'assedio nella quale il governo si trova. Però fiaccano la capacità di resistenza degli assediati: riforma della giustizia e manovra sono i casi più vistosi. L'esito in realtà non troppo a sorpresa del sondaggio nella piattaforma Rousseau è potenzialmente esiziale da questo punto di vista. Non è affatto detto, in realtà, che la presenza di candidature a cinque stelle in Emilia- Romagna e Calabria giochi solo a sfavore del Pd. E' possibile al contrario che, soprattutto in Emilia, convergano sui 5S voti che altrimenti sarebbero finiti alla Lega.
Il vero problema è che la scelta di partecipare alle elezioni può far precipitare lo stato di guerra civile latente nel quale versa il Movimento. Non a caso già ieri una leader di peso come Roberta Lombardi e Marco Travaglio, il cui ascendente sui 5S è probabilmente secondo solo a quello di Beppe Grillo hanno messo in campo la richiesta di partecipare, sì, ma in alleanza con il Pd. Difficile dire sino a che punto arrivi l'opzione politica e dove inizi invece la guerriglia interna travestita dal conflitto politico. In ogni caso, il quadro è già quello di un premier che deve temere il Parlamento perché il principale partito della sua maggioranza è incontrollabile, incontrollato e imprevedibile.