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Come la Moldavia anche la Georgia è da tempo un campo di battaglia politico che vede affrontarsi l’Unione europea e la Russia di Vladimir Putin. E se vogliamo un avamposto ancora più strategico nella sfera d’influenza di Mosca dal 2008 quando le truppe russe presero controllo delle due repubbliche separatiste, Abkhazia e Ossezia meridionale.
E le contestatissime elezioni parlamentari di domenica, vinte comodamente ( 54%) dal partito filorusso Sogno Georgiano al potere da 13 anni, non fanno che gettare benzina sul fuoco.
Per l’opposizione filo europea il risultato del voto sarebbe il frutto di una gigantesca frode, delle pressioni più che indebite esercitate da Mosca sulla piccola repubblica caucasica che tratta da almeno 15 anni come il cortile di casa: migliaia di persone sono così scese in piazza nella capitale Tbilisi gridando ai brogli e al «colpo di Stato costituzionale» e chiedendo l’immediata ripetizione del voto. A loro si è unita la voce della presidente Salome Zurabishvili, grande fautrice dell’adesione all’Unione europea, che parla di «futuro rubato» e di «metodologia russa», esigendo anch’essa nuove elezioni legislative.
Non si contano in tal senso le denunce di irregolarità, dai documenti di identità utilizzati per votare più volte e simultaneamente in decine di seggi di diverse circoscrizioni, dalle pressioni sulle famiglie dei dipendenti pubblici al mero acquisto di voti.
Episodi inquietanti e in diversi casi difficili da dissimulare, tanto che lo stesso premier Irakli Kobakhidze ha scrollato le spalle e candidamente affermato che «le irregolarità di questo genere accadono in ogni Paese». Anche la Commissione elettorale che ha validato la vittoria di Sogno Georgiano è stata costretta ieri a un piccolo dietrofront e ha dovuto accettare il parziale riconteggio delle schede ( circa il 15% dei seggi).
L’Ocse da parte sua parla di «voto pesantemente condizionato» e per quanto non sia in grado di dimostrare brogli «su larga scala», punta il dito sulle pesantissime ingerenze della Russia sulla vita politica georgiana, lamentando nel suo ultimo rapporto un «progressivo ritiro dalla democrazia», un allontanamento dagli standard democratici più elementari come il pluralismo, la trasparenza degli atti governativi, la libertà di contestare l’esecutivo. La situazione è stata denunciata praticamente da tutti i membri dell’Ue eccezion fatta per Viktor Orban il quale definisce «trasparenti e libere» le elezioni di domenica rallegrandosi che la Georgia «non sia diventata una seconda Ucraina». Come a sottolineare la sua scelta di campo, Orban è volato direttamente a Tbilisi per complimentarsi di persona con il miliardario Bidzina Ivanishvili, eminenza grigia e leader ombra di Sogno Georgiano, un oligarca “collezionista di alberi” vicinissimo a Vladimir Putin di cui condivide ogni sospiro e che da oltre un decennio tira i fili della politica georgiana. Una provocazione bella e buona quella del premier ungherese peraltro presidente di turno dell’Unione europea, l’ennesima nei confronti di Bruxelles. Uno dei marchi più evidenti dell’influenza del Cremlino sulla politica georgiana è la legge sui cosiddetti “agenti stranieri”, un copia- incolla dell’analogo provvedimento voluto da Vladimir Putin all’indomani dell’invasione militare dell’Ucraina. La legge approvata la scorsa primavera dal parlamento dopo il veto della presidente Zurabishvili, mette nel mirino oppositori, associazioni e media indipendenti e di fatto in Russia ha tagliato le gambe a qualsiasi voce critica, in particolare ha azzerato il movimento pacifista. Anche il quell’occasione migliaia di georgiani sono scesi in piazza chiedendo il supporto delle democrazie occidentali per non venire abbandonati al totale controllo russo. Ma il gruppo di potere che governa la Georgia come i loro padrini moscoviti non sembrano temere più di tanto il vocìo dell’Europa. Emblematico in tal senso un messaggio pubblicato su Telegram dalla rivista Russia in Global Affair la sera delle elezioni in cui si analizzavano le possibili conseguenze delle proteste europee, concludendo che «l’Occidente esprimerà il suo disappunto e adotterà misure simboliche», ma si limiterà a questo in quanto «troppo occupato da altre vicende per sostenere in modo efficace l’opposizione georgiana» come invece ha fatto durante le “rivoluzioni colorate” dei primi anni 2000, sempre in Georgia ( 2003) e in Ucraina ( 2004).