Riuscirà il Fronte repubblicano a fermare l’ascesa dell’estrema destra del Rassemblent National? Oppure: riuscirà il partito di Marine Le Pen e Jordan Bardella ad approdare per la prima volta nella sua storia al governo del Paese? Dopo l’ondata nera che ha segnato il primo turno per il Rn sembrava quasi fatta. Ma lo schema delle desistenze incrociate a sinistra e nello schieramento presidenziale ha cambiato significativamente i rapporti di forza. Anche se non siamo più al 2002 quando per fermare l’avanzata di Jean Marie Le Pen l’82% dei francesi votò per il gollista Chirac, tutti i sondaggi evidenziano come le desistenze allontanino il Rn dall’ottenimento della maggioranza assoluta di 289 seggi.

L’ultima indagine realizzata per Le Monde indica che il Rn raddoppierà la sua presenza rispetto al Parlamento uscente, diventando presumibilmente il gruppo più numeroso dell’Assemblea Nazionale, ma con un bottino inferiore alle previsioni tra i 175 e i 205 seggi, compresi quei transfughi dei Les Rèpublicains (LR) di Eric Ciotti.

Le proiezioni rimangono stabili per il blocco di sinistra, al secondo posto, con 145-175 seggi; la maggioranza assoluta sembra irraggiungibile, ma il divario in termini di seggi con l’alleanza di estrema destra potrebbe essere più ridotto del previsto. Infine, il terzo blocco centrista della coalizione presidenziale formata da MoDem, Renaissance e Horizons è in netto calo, attestandosi tra 118 e 148 seggi, invece degli attuali 250 deputati. La sconfitta maggiore toccherebbe a Renaissance, il partito di Emmanuel Macron, che rischia di passare da 169 parlamentari a meno di cento (tra 78 e 94), mentre la forza dell’ex premier, il popolare Edouard Philippe, dovrebbe mantenere il suo gruppo (tra 17 e 23 seggi). Le ultime proiezioni lasciano quindi presagire un’Assemblea instabile o addirittura la necessità di formare coalizioni alternative o “contronatura”. Uno scenario che si fa strada nelle ultime ore è quello di una «grande coalizione», molto diffuso in diversi paesi europei ma poco in linea con la tradizione politica francese e francamente poco probabile. Anche perché sia il presidente Macron che il leader della sinistra radicale di LFI, Jean-Luc Mélenchon, hanno già respinto la possibilità di «governare insieme». Anche la giovane leader ambientalista Marine Tondelier ha escluso un nuovo «premier macroniano». In ogni caso, i possibili partner di un’eventuale coalizione sembrano concordare sul fatto che le discussioni all’indomani delle elezioni debbano svolgersi a partire dal Parlamento e non dall’Eliseo.

Di certo non mancherà la partecipazione degli elettori, prevista ancora in crescita, un dato che rende meno attendibili tutte le previsioni di questi giorni. A confermare la prospettiva di una mobilitazione storica c’è il numero record di 3,2 milioni di deleghe al voto registrate in vista del secondo turno e la forte affluenza dei francesi residenti all’estero, che hanno già votato online in 450 mila, 50 mila in più rispetto al 30 giugno. Secondo l’ultimo sondaggio Ifop-Fiducial per Le Figaro, LCI e Sud Radio, tra il 68 e il 70% degli elettori registrati voterebbe questa domenica, 1,3 punti in più rispetto alla settimana scorsa, quando il tasso di partecipazione è stato del 66,7%. Al primo turno, l’astensione era già scesa al livello più basso dal 1997.

Nessun risultato, a parte quelli relativi alle astensioni, potrà essere comunicato prima della chiusura dell’ultimo seggio elettorale alle ore 20, pena una multa di 75 mila euro. I risultati ufficiali definitivi saranno annunciati successivamente dal Consiglio costituzionale.

Dopo le 50 aggressioni registrate durante la campagna, sarà un voto ad alto rischio violenza, ha avvertito il ministro dell’Interno, Gèrald Darmanin, che ha predisposto il dispiegamento di 30 mila agenti di polizia e gendarmi, di cui 5 mila a Parigi e nelle banlieue, e vietato ogni raduno per cercare di contrastare possibili disordini quando i risultati verranno diffusi. Oltre a Parigi, le città più a rischio caos sono Lione, Rennes e Nantes.