L’approccio culturale della riforma è di per sé rivoluzionario: scompare la parola “fallimento”. A soppiantarla, nel nuovo Codice della crisi, è la più articolata ma anche più equilibrata espressione “crisi d’impresa e da sovraindebitamento”. E tra le novità più significative della riforma del diritto fallimentare, contenuta nel decreto legislativo 14 del 2019, si segnalano le nuove opportunità per la professione forense. In particolare grazie alle nuove regole d’accesso all’Albo dei curatori. Regole che privilegiano i commercialisti, com’è naturale, ma appunto anche gli avvocati, oltre ai consulenti del lavoro. Al di là del “doppio binario d’accesso” predisposto per il “primo popolamento” dell’Albo, è essenziale per lo spirito della riforma il ruolo che spetterà al nuovo Organismo di composizione della crisi, ormai noto con l’acronimo Ocri. Sarà istituito presso tutte le Camere di commercio e sarà composto da uno specifico collegio di tre esperti, scelti dall’Albo, per ciascuna singola crisi aziendale.

Ecco, è proprio negli Ocri che si sperimenterà al massimo grado la qualità dell’apporto degli avvocati. «Un orizzonte nuovo che rappresenta per la nostra professione un grande motivo d’interesse, una prospettiva dal respiro davvero ampio», spiega Carlo Orlando, il consigliere del Cnf che coordina la commissione sulle Crisi d’impresa e segue da sempre la costruzione del nuovo modello giuridico. La «opportunità che gli avvocati non devono sottovalutare», come la definisce Orlando, è vincolata anche alla necessaria acquisizione di nuove competenze. In parte consentita e istituzionalizzata dalla stessa riforma, ma per altri versi già avviata dal Cnf con un’attività formativa autonoma.

I NUOVI ORGANISMI DI COMPOSIZIONE

In termini quantitativi, le opportunità saranno effettivamente ampie per il fatto stesso che i nuovi Organismi di composizione saranno chiamati, dai sindaci e dai revisori interni all’azienda, a intervenire non quando gli indicatori di gestione precipitano e scaraventano l’imprenditore nella spirale del fallimento, ma ai primi segnali di scostamento dai parametri di equilibrio. Statisticamente insomma l’ingresso in partita degli Ocri sarà assai più frequente rispetto all’attuale ricorrere delle crisi conclamate. Negli avvocati, oltre che nei commercialisti, verrà perciò sollecitata una capacità nello stesso tempo intermediativa e manageriale. I correttivi da suggerire all’imprenditore andranno considerati nell’ottica della continuità aziendale e non della procedura fallimentare. Il che imporrà anche alla professione forense una ulteriore specializzazione in campo economico e contabile.

ALBO DEI CURATORI: I REQUISITI D’ACCESSO

E qui entrano in gioco tempi e dettagli della riforma. Va tenuto presente che dal 15 agosto 2020 l’autorità giudiziaria sarà tenuta a individuare nel nuovo Albo tutti i professionisti a cui affidare gli incarichi di curatore e liquidatore per le procedure aperte a partire da quella data. Ecco perché già per il 1° marzo del prossimo anno il ministero della Giustizia dovrà adottare il decreto con le norme di funzionamento dell’Albo. Ma intanto sono note le regole per accedervi, declinate secondo l’accennato doppio binario: per il “primo popolamento” si sceglierà fra i professionisti che abbiano ottenuto almeno 4 incarichi nei 4 anni precedenti il 16 marzo 2019 – ma lo stesso Cnf giudica l’arco temporale troppo compresso e ne sollecita una ridefinizione. Ci sono poi i requisiti per il successivo accesso all’Albo dei curatori, accesso aperto a dottori commercialisti, revisori dei conti e appunto avvocati iscritti ai rispettivi albi professionali ( oppure studi associati e società tra professionisti ma sempre a condizione che i loro soci siano iscritti ai tre albi). Tale definitivo modello prevederà anche l’ingresso di “manager” non professionisti che abbiano dato prova di notevoli capacità. Ma il punto chiave è nell’obbligo formativo a cui l’accesso al nuovo Albo dei curatori è subordinato: servirà la frequenza di corsi di perfezionamento per ben 200 ore. Vincolo che il consigliere Cnf Orlando non considera insopportabile.

UN MODELLO BASATO SU NUOVE COMPETENZE

È chiaro che gli avvocati dovranno prepararsi a sciogliere nodi spesso di natura specificamente economica e contabile. Ma il contributo che potranno offrire persino al di là di queste ulteriori competenze racchiude forse lo spirito ultimo della riforma che, dalla vecchia idea dello stigma con cui marchiare il “fallito”, trasfigura in un ragionevole approccio di prevenzione e persino di comprensione delle difficoltà aziendali. Se gli Organismi di composizione dovranno essere necessariamente arricchiti dalla competenza degli avvocati è perché, nel legislatore, ha pesato probabilmente la consapevolezza che gli istituti della materia fallimentare sono scolpiti nel Codice civile.

E in termini “filosofici” il dato si riflette anche nella capacità, esclusiva della professione forense, di maneggiare le leve della giurisdizione in modo più appropriato rispetto ad altre figure professionali, anche in rapporto alle funzioni che naturalmente restano in capo alla magistratura.

Ma è indiscutibile che l’aprirsi di simili nuove prospettive richieda uno sforzo ulteriore per gli avvocati. Non a caso, come accennato, il Cnf si è già assunto la responsabilità di tenere quattro corsi di formazione sul sovraindebitamento, rivolti in particolare ai giovani avvocati. Così come ha tenuto ad aggiornare, con ulteriori moduli, i colleghi iscritti all’albo dei revisori legali presso il ministero dell’Economia, «in modo da far arrivare gli avvocati pronti all’appuntamento con la riforma», spiega Orlando.

Neppure va rinnegato, certo, lo spirito di dialogo, di comprensione, che il legislatore ha ritenuto di dover favorire con il nuovo Codice della crisi. L’imprenditore non più visto come un dissennato che sottovaluta la catastrofe gestionale, ma come una figura spesso messa in difficoltà dal contesto, da una contingenza recessiva drammaticamente inaugurata con la crisi del 2008 e da cui non ci si è mai del tutto affrancati. In tale cornice l’imprenditore in crisi non può più essere una figura “sospetta” da ingabbiare per limitarne i danni, ma un interlocutore da sostenere per tempo, con l’apporto di adeguate professionalità esterne e con un contributo basato appunto su un equilibrio fra competenza e capacità di dialogo. Un campo in cui si realizza perfettamente il ruolo sociale dell’avvocatura, evidentemente capace di manifestarsi nel più vasto orizzonte del sistema produttivo e sempre più coerente con l’aspirazione a vederlo riconosciuto anche sul piano costituzionale.